Sul profilo Instagram di Anthony Delon, il figlio di Alain, un paio di anni fa apparve un breve video. Inquadrato, frontale, il vecchio Delon, sollecitato dal giovane Delon, «Regarde-moi…Qu’est-ce que tu vois?» , rispondeva, lo sguardo al figlio: «Mais je vois Alain Delon!». Risata fragorosa di entrambi. «C’est tout?», gli domanda Anthony; «C’est beaucoup…». E di nuovo esplode il riso. Anthony scriveva in nota al video: «Mi è sempre piaciuto vederti ridere. E la logica implacabile della risposta ti appartiene. Fa parte di Delon, senza dubbio». Dipano da qui un filo della memoria che si salda ad alcune considerazioni espresse da Mauro Gervasini, in occasione di un dossier su Alain Delon, che curai alcuni anni or sono, nel dicembre del 2021. Delon fu capace come pochi altri (e in Europa nessuno) di edificare intorno a sé “una sorta di mitografia”. Dunque, è naturale che il padre guardando il figlio veda rimandata come in uno specchio la propria immagine, cioè non possa far altro che riflettersi in se stesso. Gervasini parlava di «racconto emanato dal proprio magnetismo leggendario», di persona che si fa maschera, di personaggio che diventa film. Il che non ha ovviamente nulla a che vedere con una banale auto-referenzialità, non è di segno negativo, ma si fa narrazione «sviluppata intorno alle caratteristiche fisiche e performative dell’interprete».
Il mito-Delon è allo stesso tempo affascinante e complesso, possiede anche iridescenze misteriose, spesso confinanti con zone d’ombra. E Les Mystères Delon si intitolava, infatti, una bella biografia dell’attore, apparsa nel 2000 per Flammarion, scritta da Bernard Violet, che citava nell’avant-propos, come prima cosa, una massima di Alain (del 1999): «La storia della mia vita è così impossibile, che nessun giornalista sarebbe capace di scriverla». Si tratta di un’opera densa, complessa, credo la migliore del genere, in cui la penetrazione dei misteri deloniani si addentra nella pars destruens che ha come oggetto l’uomo Delon (ma esiste, poi, soluzione di continuo tra uomo e attore, tra volto e maschera?), il suo carattere “impossibile”, le frequentazioni, a margine e nemmeno troppo a margine, della malavita, le professioni di fede gollista, fino alle implicazioni nell’affaire Stefan Markovic, ex guardia del corpo di Alain, ritrovato cadavere in una discarica e collegato a un bandito corso, François Marcantoni, a sua volta sodale stretto di Alain. Brutta faccenda, dedalica, mai chiarita, tra balordi serbi e servizi segreti, che fece detonare un grosso scandalo in Francia, tra il 1968 e il 1970, coinvolgendo finanche la consorte dell’allora Primo Ministro Georges Pompidou. Delon cercò di mettere i bastoni tra le ruote a Violet, ma il volume apparve comunque, dalla cui lettura il Mito esce, paradossalmente, corroborato e in qualche modo arricchito da simili infiltrazioni dell’Ombra. Come l’altro emisfero, necessario, del pianeta Delon.
“Mentre il mio viaggio volge al termine, voglio dirvi questo: ho conosciuto così tante passioni, così tanti amori, così tanti successi e insuccessi, così tante polemiche, così tanti dispetti, così tante vicende torbide, così tanti ricordi, così tanti appuntamenti mancati e incontri improvvisati, così tanti alti e bassi”
All’ultima apparizione pubblica, nel maggio del 2019, al Festival di Cannes, che lo aveva premiato con la Palma d’oro alla carriera, Alain, tracciando una sorta di consuntivo, in limine mortis, della propria esistenza, nella forma di una lettera di ringraziamento rivolta ai suoi sostenitori, diceva: «Mentre il mio viaggio volge al termine, voglio dirvi questo: ho conosciuto così tante passioni, così tanti amori, così tanti successi e insuccessi, così tante polemiche, così tanti dispetti, così tante vicende torbide, così tanti ricordi, così tanti appuntamenti mancati e incontri improvvisati, così tanti alti e bassi, che quando le onorificenze non saranno più che vani e lontani ricordi, ci sarà solo una cosa che brillerà per la sua costanza e la sua longevità: voi, solo voi. A voi che mi avete reso ciò che sono e che mi renderete ciò che sarò». Fu un’apparizione in cui, ancora una volta, per l’ultima volta e per sempre, ebbe negli occhi la luce riflessa di sé, del proprio Mito. Coincidenza di opposti, luce che nessuna caligine offusca, che nessuno schermo arresta, di fronte alla quale ogni lume è tenebra, ogni altra luce è oscurità.
Plein Soleil (Delitto in pieno sole) e Rocco e i suoi fratelli, tra il 1959 e il 1960, con la regia di René Clément e Luchino Visconti, furono due astri cinematografici che non solo inclinarono ma determinarono il destino di Delon. Clément, il suo maestro, al quale, Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti