Capita spesso che certe opere siano molto interessanti senza essere granché belle, e che anzi proprio nei loro limiti estetici, in ciò che le rende non del tutto riuscite, abbiano il loro valore di testimonianza storica, o artistica, o politica. 

Berlinguer – La grande ambizione di Andrea Segre può essere inserito un po’ in questa categoria, perché illumina la persistenza di un mito che genera da una mistificazione ormai così consolidata che non pare neppure più tale: quella, cioè, di Enrico Berlinguer comunista contro, o diciamo pure malgrado, i comunisti. Anzitutto quelli di Mosca, quelli dei congressi oceanici, delle purghe e dei carri armati contro gli studenti, e da questo punto di vista il film è teneramente antisovietico, nel senso che dovendo guardare quello squallore totalitario dalla prospettiva di Berlinguer, senza cioè anticipare l’abiura o esagerare la condanna, finisce per mostrare un segretario del Pci mosso da un candore quasi commovente, mentre spiega a Breznev o ai macellai bulgari il senso profondo del comunismo all’italiana, come a convalidare la tesi di Sciascia per cui l’eurocomunismo di Berlinguer era “una finestra dipinta sul muro”. 

Ma poi, ovviamente, quello di Segre è un Berlinguer comunista contro, o malgrado, i comunisti di casa sua, i compagni di Botteghe Oscure, sempre così ingessati nella loro ortodossia rispetto al sorriso sempre accogliente del dolce Enrico. È un po’ quella che Andrea Orlando chiama la “rilettura veltroniana”, e non è certo che nasca con Walter Veltroni, questa distorsione, ma è indubbio che sia stato lui a sdoganarla e a piegarla alle sue esigenze di storytelling, come si dice, per dare consistenza alla convinzione a cui poi a tanti è piaciuto credere: e cioè che sì, c’era una tradizione nobile del comunismo – del comunismo italiano, beninteso – che si potesse, e anzi dovesse, ereditare ed esaltare, ma quasi isolandola dal contesto, quasi concependola come estranea, anzi, da quel contesto. Come se davvero i dirigenti del Pci, giovani e vecchi, potessero stare lì senza essere “ideologicamente comunisti”, e solo perché Berlinguer era una brava persona. 

Ed è certamente intorno all’azzardo del compromesso storico – e il film di Segre proprio di quello, parla: dei cinque anni tra il 1973 e il 1978, tra l’assassinio di Allende e quello di Moro – che questa falsificazione trova il suo compimento perfetto. Anzitutto perché

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