La recente ricorrenza dell’8 marzo ha puntato nuovamente i riflettori su un contesto sociale in cui la discriminazione di genere è ancora all’ordine del giorno e, tra tutti i campi presi in esame, non ne è esente la musica. Già i fatti di Sanremo avevano fatto discutere per la partecipazione a maggioranza maschile, tra artisti in gara e autori, così come aveva fatto scalpore l’assenza sul podio di figure femminili: polemica che cammina sulla fune del politicamente corretto, dato che la qualità dovrebbe andare oltre le questioni di sesso, razza, religione, handicap e via discorrendo (e Sanremo veicola proprio il contrario della qualità). Non è di ipocrite quote rosa che si dovrebbe parlare, quanto dell’effettivo peso che hanno le donne nella “canzone italiana”: quella pop e quella popolare, insomma.

La donna in Italia viene ancora oggi vista più come interprete che come autrice, nonostante molte delle stesse celebri ugole che hanno dato lustro alla nostra musica abbiano anche scritto di loro pugno le canzoni che cantavano. E soprattutto regna l’idea del vittimismo di genere: “non sono state comprese, non hanno avuto successo”, sono percepite come piccoli sassolini che affondano in uno sconfinato mare di maschi. Potremmo dire che questa è una lettura paradossalmente fallocentrica, a ogni modo in malafede: i fatti smentiscono una reale misoginia da parte delle masse, le quali hanno sempre messo sul piedistallo icone femminili, come per una necessità vitale che ha radici antropologiche antichissime. Più che altro è l’industria ad avere per anni colpevolmente investito su certi autori rispetto ad altri. E il cantautorato femminile era per antonomasia un fare musica di lotta, per rompere con le tradizioni, non roba di compromessi. Non è un caso che se negli anni Sessanta il primo cantautorato femminile di Nives, Paola e Nora Orlandi o Marisa Terzi (ma non dimentichiamoci il folk militante di Giovanna Marini) funziona alla grande, è vero anche che nel decennio successivo la coscienza femminista crea un cortocircuito, mandando in palla pure il mondo della sinistra parlamentare ed extraparlamentare di cui mette alla berlina il paternalismo, evidenziandone le contraddizioni incredibili e di fondo ancora insanabili.

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