Mi chiamo Roberta, ho quarant’anni e spicci, e sono single. La sera in cui se n’è andato rientravo da una trasferta. Ero stanca morta ma gli avrei raccontato al solito tutti i dettagli minuti, lui avrebbe finto di sintonizzarsi sulle mie frequenze eruttive io avrei trovato sollievo nel fingere a mia volta che mi piacesse ascoltarlo, anche se le sue, di frequenze, erano più simili a quelle degli esaltati che dei prolissi, sempre una riga sopra mai una parola di troppo. In quel combinato asistemico e atonale, la nostra solidità, durata, energia propulsiva. Poi qualcosa si era incriccato, nella dinamica, e io non avevo più avuto la forza di aggiustare, rilanciare, occuparmene. Gianni se n’era andato molto prima di quella sera quando aprii la porta e realizzai che non c’erano le pantofole, non c’era il cappotto, non c’era l’accappatoio, il rasoio il computer la tazza della colazione e più giravo meno oggetti suoi si schieravano, era un antischieramento, una razzia anche se non si poteva dire piazza pulita perché qualcosa restava, come avesse voluto darmi un segnale di pelosa permanenza. Non posso dire di essere rimasta scioccata o che non me lo aspettassi, ma è come quando ti rapinano a Napoli: ok prima o dopo doveva capitare, magari non quel giorno lì, che avevi già parecchie grane a contorno. Così avevo iniziato il casting. L’abitudine di segnare su carta i nomi di quelli che frequentavo era antica, e non certo determinata dal timore di perdermene qualcuno per strada, non erano legione. Erano sempre quattro cinque sei al massimo, ma avevo bisogno di segnarli, per conferire loro lo statuto che non avrebbero peraltro mai rivendicato. Il primo era Gianmarco, che recitava nella mia stessa compagnia, eravamo stati allievi di un venerato maestro, lui più giovane di me come del resto Gianni. Saremmo rimasti entrambi nello spazio del dilettantismo che potrebbe mutarsi in forza di colpo di fortuna estremamente raro, il cosiddetto caso statisticamente minoritario, in qualcosa di più stabile ma mai vero professionismo e non da poterci campare. Io ci avevo fatto i conti, anche spronata da Gianni-uomo pratico, e mi ero trovata un lavoro vero, con regolare stipendio, sebbene basso perché avevo preferito il part-time che mi lasciava margine per studiare i copioni, andare a teatro, spesso con Gianmarco. Il quale continuava a sognare, forte dei suoi quattro anni di meno e in effetti il salto di decade con cambio suffisso avrebbe fatto la differenza, avrei potuto dirglielo, ma a qual fine mai. Io e Gianmarco dividevamo spesso le pause, sigaretta lui, qualche messaggio io, solitamente a Gianni. Però erano pause che duravano pochissimo perché Gianmarco era sempre all’erta, aveva più d’uno con cui intrallazzare, tramare, cercare altre occasioni, opportunità. Aveva sceneggiature accatastate ovunque, nel cruscotto, in tasca, adattamenti che mandava in giro a pacchetti, conosceva tutti i registi, teatro, cinema, Netflix. Talentuoso? Mezzo e mezzo, Gianmarco, aiutato soprattutto dalla faccia, come Gianni. E poi c’è Carlo del tennis. Carlo l’ho incontrato a bordo campo, la sola volta che ho provato a giocare: una schiappa rifinita, non ne ho presa mezza con la scusa degli occhiali, che comunque non porto quasi mai. Mi sono scoperta miope poco prima dei quarant’anni ma non era possibile che non lo fossi da sempre, aveva detto uno stranamore scalpato calandomi nell’occhio all’intrasatta delle gocce talmente accecanti che financo tornare a casa in taxi si era tradotto in roulette a non farsene prima investire, ma l’avevo scampata. Dunque potevo continuare a portarmi nel mondo con due gradi in meno totali per i due occhi, cioè uno a testa, e che sarebbe stato mai. Comunque, Carlo. Carlo è quello dello spot della Bistefani, ci prende sempre. Uno che sa tutto, ha visto tutto, ha fatto tutto, è entusiasta iperbolico arrogantissimo. Ha una buona mano, a tennis. Non solo a tennis. Ha una buona mano, Carlo, intendiamoci, perché poi per il resto è scarso. È come le bruttine che diventano simpatiche, se hai una buona manualità, con le donne, è perché sei ipodotato. Comunque il suo lo fa, finisce, anche se non senza un po’ di teatro pure lui, tutti attori, oggidì, e ah, oh, uh, oooocheiii, c’est fini. Per lui, naturalmente.
Carlo potrebbe essere un futuro? No, macché trisposato con triprole. Cosa vuole Carlo dalle donne? Fare sesso, insaziabile, indomabile, incontenibile. Ma tutto nei preliminari, poi si spegne, è un volo a planare, esausto, se la prende con l’età, decadi e suffissi li ha cambiati da un po’. Ahi, Carlo, ma mica è detto che ti debba compiacere, no, Carlo, io me ne vado. E dove vado? Di solito io, Roberta di quarant’anni, single, mi vado a rintanare nella posta elettronica, come si chiamava una volta, essì, trovo rifugio nelle corrispondenze virtuali, nelle mutande strappate a morsi da gmail, nel vorrei frustarti ma non posso di un siciliano sposato che messa a letto moglie + sgorbietto/a si dedica al sexting occasionale, perché no, non può essere tutte le sere, ti precisa subito Calogero detto Gero, facciamo come viene, quando ci va. Ovvero quando va a lui, a Calli (che preferisco a Gero), perché quando non gli rispondo immantinente piomba in una depressione post partum manco l’avesse eiettato lui, lo sgorbietto. Quando mi stufo anche di Calli, torno fuori, nel mondo. E chi troviamo nel mondo? I passanti come Pino. Pino di chiare ascendenze nordiche (no), porta fuori il cane, una specie di boh, come si chiama Lessie? Lessie, quel tipo di cane lì, peloso. Come tutti? Mica vero. Pino lo incroci e vorresti lasciarlo esattamente dove l’hai trovato, anzi, pensi che sarà così, quindi gli racconti un po’ di te, della casa razziata e svuotata, del senso di soffocamento e sospensione (verrà a riprendersi quello che resta? Mi penserà ogni tanto? Avrà nostalgia, dolore e su su per la scala del lutto abbandonico da Karenin e Karenina a Kramer contro Kramer fino a Silvia e Michele di Un posto al sole). Lasciamolo passeggiare col cane e prendiamo in considerazione l’ultimo, l’ex compagno di corso. L’ex compagno di corso, da dove salta fuori? Da un mezzo pubblico qualunque, come fosse capitato l’altro ieri, di vederlo l’ultima volta. Tempo due minuti e siamo già mezzi litigati, il risentimento di quella tresca ventennale non si è affatto sopito, ma che, si sparisce così, da un giorno all’altro. Veramente sei sparita tu. Incredibile la cronologia dei chiamiamoli amanti, sempre sfalsata, le azioni in quanto tali combaciano nel revival condiviso ma mai che venissero attribuite allo stesso personaggio. Personaggetto, poi, perché come diceva il tale drammi non se ne vedono, se mai disfunzioni. L’ex compagno di corso nel frattempo si è riprodotto pure lui, accasaccio, momenti manco si ricorda il nome di colei ma il figlio si connota formularmente come l’errore più bello della mia vita. Sarà contento, lo sgorbietto firewall della specie.
Quelli che figliano sono peggio dei copioni smocciolanti dalle tasche: pensano ai loro quattro secondi di perpetuazione a un’impresa eroica, ove ne mancassero, tra cani e maiali. Tu sei uomo riprodotto, hai ogni diritto di trattare i non riprodotti come creature un po’ dabbene, combinaniente, scansafatiche. Gianni era fieramente ostile alla riproduzione per fatti ideologici ma non tipo il disarmo nucleare, no, tipo speculazioni cioraniane che non si può decidere per un altro etc. Gianni, se ne discuteva molto: ora la sua compagna è incinta di due mesi e mezzo. Credo, perché non l’ho mai vista: me la figuro così, una dei riprodotti o che potrebbe diventarlo. Che cosa non andava in Gianni? Sua madre o suo padre, direi. Quindi i riprodotti, in sostanza. I riprodotti una volta sola, per giunta: la peggiore specie. L’egoismo replicato sano e bino nel corredo genetico: non avendo condiviso schiaffi e carezze, penserà che tocchino solo a lui, sempre a lui, tutto a lui. Sua madre, quel che si dice donna in carriera, manie di protagonismo quotate in borsa, suo padre l’artista, ovvero il nullafacente statutario. Le redini, indovinate chi. Di Gianni mi ricordo soprattutto le litigate. Una volta a forza di urla cascò una porta, secondo me erano calci, ma lui no-no, negò: e comunque, non era colpa sua se le porte di casa mia non le aveva fabbricate suo padre l’artista, che a quel punto sì-sì, avrebbero tenuto. Quella volta della porta stavo proprio pensando: adesso te li do io due bei calci, ma non feci in tempo a coniugare la minaccia con un effetto anche solo mimato perché nel frattempo sulla mia testa esplodevano vetri, ed era quasi bella, quella pioggia prismatica di cui mezzo frammento fece in tempo a rimbalzarmi nell’iride, malgrado la posizione tergale. Gianni non si scusava mai, non ne aveva bisogno perché il perdono preventivo che solo gli serviva se lo era meritato da quando il gamete aveva impattato l’ovulo di mami. Nonostante le furibonde litigate Gianni rende impossibile a qualunque candidato al casting di acquisire consistenza. Più che mai al libraio. Ah, erravo: l’ultimo è lui. Dalle e dalle, ci fai amicizia. Dalle e dalle, ci vai a letto. Dalle e dalle, smette di vederti come una donna dal momento esatto in cui agguanta il rotolo di scottex per ripulirsi. Lui, perché è tutta sua, la faccenda. Mentre il casting non decolla, il part time non basta alle creme: dopo i quarant’anni a Roberta, come dicono le influencer che parlano sempre in terza persona maiestatis, serve il collagene, lo ialuronico, la vitamina c, d, b e la palestra per non accelerare la colata a picco dell’estradiolo. Allora bisogna cercare un nuovo impiego, spargi la voce, leggi i copioni. Leggi i copioni e li correggi, lavoro redditizio, in nero come l’analista. Bene, così nel tuo casting entra pure uno dei cani. Chi sono i cani. Io Roberta di quarant’anni ve lo so spiegare, se avete un minuto di pazienza e non mi incalzate.
Ma meglio di me ve lo saprebbe spiegare Giada, la mia amica che fa editing (e anche casting, volendo) ad aspiranti poeti e romanzieri. Una cosa che proprio non le piace leggere sono gli inediti. Perché a lei, così mi ha sempre detto, di leggere piace quel momento in cui confronta la sua opinione con quella di altri. Ma l’inedito se è inedito altri non ce ne stanno, ci sei solo te, per loro. Gli inediti sono come i cani, ti aspettano. Mesi. Pensaci a quante cose succedono, i mesi, dice Giada, sempre lei. Uno si ammala va a ritirare le lastre. Un altro guarisce fino al controllo successivo. Uno se ne va (non ti amo più) l’altro torna (mancavi). All’inedito non succede niente: è lì. È lì come i cani. Ti fiuta sa quando stai per checkare la posta ma non viene a scodinzolare subito, aspetta una carezza. Se non arriva, abbaia. Padrone di inedito scrive: Allora, hai letto? A te questo richiamo piace ancora meno dell’inedito, perché non ha nessun diritto, padrone di inedito, per il solo fatto di possedere inedito e di averlo mandato a scondinzolare dalle tue parti, di pretendere un’opinione. Un suggerimento. Ciao Roberta, ho bisogno di un consiglio. Secondo me dovresti fare una scuola. Una scuola? IO? Ma quando mai! Io non devo imparare proprio niente! Hai capito proprio male!!! Inedito, abbiamo detto, è un cane, e i cani opinioni non ne vogliono, vogliono le carezze, e poi vogliono l’osso. Gli inediti si dividono in due categorie: ci sono gli inediti che lo sanno e quelli che invece azzannano. Quelli che lo sanno non vogliono carezze ma l’osso, quelli che azzannano vogliono direttamente il tuo braccio. Perché presumono di avere un potenziale ma sanno anche che la maestra glieli segnava in rosso, i temi, e che l’ortografia difetta. A questi inediti qui serve la sferza, o almeno il cancellino. E, a proposito, ce l’avevate voi la maestra lanciatrice di cancellino? La mia prendeva la mira. Anzi prima mandava di sottecchi Felice a pulire la lavagna e poi col cancellino a chiazze colpiva Leonardo, che si era distratto. Inediti, dicevamo, e cani. Ma forse vi siete stufati, perché in fondo è un inedito pure questo. E però quello che dicono gli altri di queste cose che scrivo qui un po’ lo sappiamo: pensano sia tutto vero, non sanno che esistono i diritti della fantasia (Pirandello), oppure i fatti veri cioè ben inventati (Walter Siti, ma anche mio nonno Angelo, per bocca di mio padre però, perché è morto prima che io nascessi).
Mi chiamo Roberta ho quarant’anni e spicci e oggi a fare il casting non c’è nessuno, nemmeno un cane.