Più che per ogni altro attore italiano, scrivendo di Marcello Mastroianni (1924-1996) ci si muove tra gli stereotipi e le formule. Latin lover, divo gentile, antidivo, incarnazione dell’inetto. Il fatto è che Mastroianni è stato la nostra faccia glamour da presentare al mondo, l’unico divo in senso pieno, internazionale, ma anche quello coi caratteri più “normali”. Ai suoi esordi, il critico Vittorio Spinazzola lo paragonava addirittura alla casalinga medietà dei primi presentatori televisivi, Mike Bongiorno o Enzo Tortora. E anche Fellini, proponendogli il ruolo di protagonista nella Dolce Vita: «I produttori vorrebbero Paul Newman, ma a me serve uno con una faccia qualsiasi…».
Poi fu l’incarnazione del latin lover, e lottò sempre contro questo personaggio. Non solo nelle interviste, ma nella scelta dei ruoli. Ben presto collezionò tutte le possibili confutazioni della virilità e del glamour. Sarà impotente (Il bell’Antonio), “laido cornuto”, come si autodefinisce (Divorzio all’italiana), affetto da adrenaliniche turbe sessuali (Casanova ’70), renitente alle avance di Catherine Spaak e interessato solo a gonfiare palloncini (Break Up), penosamente calvo (Scipione detto anche l’Africano), gravido (Niente di grave… suo marito è incinto), omosessuale (Una giornata particolare). Ma più in generale non interpreterà mai il latin lover se non per farne la parodia. Poi, certo, i giornali riferivano le sue storie d’amore con Faye Dunaway e Catherine Deneuve…
È vero che Mastroianni aveva cominciato a teatro, con il magistero temibile di Luchino Visconti, ma è un caso raro di attore teatrale che ha lasciato il teatro per il cinema senza complessi, perché quel recitare a singhiozzo, ciak dopo ciak, senza pubblico, che per molti attori era frustrante, a lui risultava comodo e piacevole
Più sornione, invece, era quando giocava con la retorica non dell’antidivo, ma proprio dell’anti-attore. Come da tradizione italiana, prendeva in giro l’Actors Studio e ogni mitologia dell’attore-genio: l’attore è un impiegato, diceva, recita le battute pensando alla bolletta… È vero che Mastroianni aveva cominciato a teatro, sotto il magistero temibile di Luchino Visconti, ma è un caso raro di attore teatrale che ha lasciato il teatro per il cinema senza complessi, perché quel recitare a singhiozzo, ciak dopo ciak, senza pubblico, che per molti attori era frustrante, a lui risultava comodo e piacevole. Il cinema era perfetto per Mastroianni, e lui era perfetto per il cinema, e anzi per un certo momento della storia del cinema.
Non è un caso, infatti, che sia diventato se stesso e abbia trovato la propria dimensione negli anni Sessanta. Prima di allora,
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