«E i ratti e un tu li debelli mai, perché le femmine le son capaci di autofe’ondàssi» mi racconta al telefono un amico dal marcato accento viola. Poi, mentre si dilunga nei dettagli di come in caso di pericolo le suddette abbiano sacche di riserva di sperma atte al compito di ripopolare la colonia, penso alla specie, anch’essa immortale proprio perché capace di autofecondarsi, di chi odia l’ebreo. 

Immortale è il titolo di un libro di racconti di Bożena Keff, uscito pochi mesi fa per Filtry, eccellente casa editrice polacca, di quelle che ce-ne-fossero. 

In effetti, quando Keff parla di “immortale” nel libro intende l’immortale Christopher Lambert di Highlander, ma Immortale è il titolo di uno dei racconti dove muore la sua Ada adorata, sola, insostituibile amica a quattro zampe, e le riflessioni che seguono la scomparsa di una creatura tanto amata corrono sul filo dell’esserci e non esserci, perché quando una creatura molto amata scompare porta con sé anche il pavimento, il cielo, la luce e spesso l’aria. E a chi rimane, e rimane solo, non rimane nulla. 

Però chi scompare in qualche modo c’è per sempre, come l’infanzia che proprio quando non c’è più diventa «il solo paesaggio che sta sul fondo di tutti i ricordi», come scrive Zbigniew Herbert. Anche perché, come se non bastasse, dice Keff, arrivano i sogni a fare confusione e a scoperchiare quei contenitori di paure che si era creduto di aver chiuso ermeticamente e allora, sonno o veglia, chi lo sa, è tutto appeso per aria, lungo quel filo di presenza e assenza che è però un’aura di dolore. 

Bożena Keff è una scrittrice coraggiosa, lo è perché ha scritto cose molto belle e in varie forme, dalla poesia ai saggi, e lo è perché si è occupata del delicato argomento “dell’ebreo” in Polonia. 

“L’ebreo”, sostantivo e aggettivo che ancora oggi e in molti paesi, non solo in Polonia, sono in pochi a usare volentieri. Giusto qualche giorno fa ho letto su un giornale italiano “di religione ebraica” riferito alla moglie del nuovo primo ministro inglese, come se usare l’aggettivo “ebrea” avesse rischiato di suonare offensivo. 

Ma ebreo è un aggettivo che suona offensivo? In polacco, dove molto comunque si è fatto e scritto, stride ancora come il gesso sulla lavagna. 

Keff nel 2001 ha scritto Personaggio nell’ombra. Ritratti di donne ebree nella letteratura polacca, libro che ho amato furiosamente quando ero ancora studente, e dove l’uso dell’aggettivo nel titolo comportava una bella audacia. Mi aspettavo che in questo suo nuovo lavoro

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