Io non sono il tipo di persona che ordina il vino. Non ne so quasi nulla e lascio che sia sempre qualcuno delle persone che mi accompagnano – più competente o solo più disposto ad assumersi la responsabilità – a farlo. Ultimamente con un gruppo di amici con cui esco spesso la scelta ricade quasi sempre su un vino naturale. Quando mi sono stufato di fare finta di sapere di che cosa si trattasse mi sono messo a fare qualche ricerca su google e ho scoperto che con “vino naturale” si intende – per fermarci a Wikipedia – «un vino che viene realizzato mediante fermentazione spontanea del mosto, senza aggiunta di altre sostanze, fatta eventualmente eccezione per piccole quantità di anidride solforosa, vietando anche il ricorso a procedimenti invasivi». Ho scoperto anche che al momento non esiste alcuna legislazione che fornisca una definizione giuridica del termine (anche se si suppone che l’UE prima o poi provvederà) e che il consumo di vini naturali è guardato con una certa sufficienza, per non dire disprezzo, da una parte della comunità degli enofili (me ne sono accorto quando durante un aperitivo con gli stessi amici di cui sopra, in una enoteca diversa dalla solita, alla domanda se avessero vini naturali la proprietaria ci ha risposto, un po’ stizzita e un po’ orgogliosa, che no, loro tenevano solo vini veri). 

Ma non voglio parlare di vino (ripeto: non ne so nulla). A me interessa l’altra parola: “naturale”. A rigore “vini naturali” è un ossimoro (è chiaro a tutti che non si trovano vini in natura) e sono stati avanzati altri nomi, probabilmente più esatti, con cui si poteva battezzare quel tipo di prodotti vinicoli (“vino artigianale”, oppure “a basso impatto”, “nudo”, “selvatico”). Eppure, “naturale” ha prevalso nell’uso. Come mai? Forse perché è uno di quegli aggettivi magici capace di infondere sempre un’aura di maggiore desiderabilità all’oggetto a cui viene applicato. Lo sa bene il marketing, che volentieri confeziona nuovi prodotti naturali (dai cosmetici ai probiotici nello yogurt) da vendere, come sempre facendo leva su certi nostri riflessi incondizionati, come appunto quello di considerare “naturale” un sinonimo di più bello, più giusto, più sano.

Perché mai dovremmo guardare alla natura per trovare indicazioni o giustificazioni su come dovremmo comportarci?

Una tendenza che pare intrinseca alla mentalità umana e non da oggi. Il problema è che la cosa diventa meno innocua quando non si sta più parlando di vino o di cosmesi, ma l’aggettivo inizia a fare capolino insistentemente in dibattiti su questioni politiche o etiche. A emergere qui è un meccanismo del pensiero più insidioso e preoccupante: voler vedere nella natura un modello morale o una fonte di normatività dall’impareggiabile autorevolezza. Un postulato che ancora oggi viene chiamato puntualmente in causa quando si dibatte su temi caldi quali il matrimonio omossessuale, la gestazione per altri o gli ogm. 

Si tratta di un tipo di argomentazione che razionalmente non regge. Perché mai dovremmo guardare alla natura per trovare indicazioni o giustificazioni su come dovremmo comportarci? E così, se il pregiudizio di una “natura maestra” è antico, nel corso dei secoli non sono mancati neppure coloro che lo hanno facilmente confutato. Per citarne uno, John Stuart Mill scriveva: «O è giusto dire che dovremmo uccidere perché la natura uccide, torturare perché la Natura tortura, rovinare e devastare perché la Natura fa altrettanto; oppure non dovremmo considerare per nulla ciò che la Natura fa, ma ciò che è bene fare?»

Ma non c’è confutazione che tenga: il pregiudizio naturalistico, anzi la «fallacia naturalistica» (l’espressione fu coniata nel 1903 dal filosofo inglese G. E. Moore) non muore mai. Perché? È la stessa domanda che si fa Lorraine Daston nelle prime pagine di Contro Natura, breve ma denso saggio sulla questione, da poco pubblicato in Italia da Timeo, nella traduzione di Assunta Martinese: «Perché gli esseri umani, in epoche e culture differenti, in modo generalizzato e persistente guardano alla natura come a una fonte di norme per la condotta umana? Perché mai la natura dovrebbe

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