Se Pietà di Antonio Galetta ci insegna qualcosa, è che la politica (quella al centro dell’ambientazione del romanzo, un piccolo paese dell’entroterra meridionale, forse pugliese, tagliato fuori da tutto) nel nostro mondo non ha più bisogno di uccidere nessuno: e che la sopravvivenza di tutti, senza farsi troppo male e rinunciando al meno possibile, in un’epoca di ripiegamento costituisce il vero motore sotterraneo dell’impegno pubblico. Nessun sacrificio, nessuna tragedia in questo: al massimo una sovrumana tristezza, accompagnata dalla disillusione di una pietà che per Galetta assomiglia a uno «sguardo grandangolare sul mondo, pensarsi come parte di qualcosa, qualunque cosa che sia più grande di se stesso». 

Il potere a cui aspirano le quattro forze politiche del romanzo, candidate alle elezioni amministrative a seguito delle dimissioni forzate del sindaco uscente per un’indagine giudiziaria, è una corrente immateriale che muove con estrema concretezza le persone sul territorio. Non alza la voce, non crea conflitti aperti, tutt’al più moltiplica quelli che già esistono; e quando i conflitti arrivano alla luce, escono disincarnati come allucinazioni. 

I motivi di scontro in vista del voto stanno in poche ossessioni private che, una volta comunicate, non hanno consistenza pratica e suonano un po’ ridicole: il sogno di una Società Smart in cui la qualità della vita sia ottimizzata ogni anno da nuove app, il Futuro dei Figli che non devono emigrare, la paura degli Immigrati (fulcro del programma di una candidata che, a rinforzo espressivo, nei comizi si mangia le parole fino all’incomprensibilità). Queste intenzioni funzionano dapprima da copertura: con il loro chiasso mediatico e l’ostinazione insensata, servono – al più – a procurare un consenso slegato da qualsiasi realizzabilità. Ma non mascherano qualcosa di preciso: non è dato sapere fino alla fine che cosa vogliano veramente politici ed elettori di Pietà. In questo mistero, che viene il sospetto sia in parte tale anche per il suo autore, sta il punto cieco del romanzo: che ha il prezzo di togliere, almeno fino alla Parte terza del libro, profondità ai destini dei suoi individui, visti in larga parte come epifenomeni di qualcosa che li trascende (pregiudizi, culture, generazioni, slogan, oggetti di consumo). 

Un’immagine ritorna a cadenze regolari nel romanzo, osservata di volta in volta da diversi personaggi e temuta come fosse non uno spunto per una metafora, ma una verità a specchio sulla condizione umana: gli sciami di storni che percorrono l’aria sopra il paese, e che indicano l’irrilevanza dell’individuo fuori da qualsiasi raggruppamento

Il vero protagonista di Pietà resta il potere: che non ha nulla di criminale, ma tutto di cinico, trasformista, predatorio nella sua apparente generosità, e in fin dei conti è indifferente a chi lo conquisterà. Assecondando

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