Il 22 maggio 1896 Johannes Brahms arrivò trafelato alla stazione della località termale di Bad Ischl, dove si trovava in vacanza, giusto in tempo per acciuffare al volo il treno per Attmang. Sistematosi a dovere sui comodi sedili della carrozza, iniziò a riprendere fiato: in queste circostanze l’età (aveva da poco festeggiato il suo sessantatreesimo compleanno) e la pinguedine non è che aiutassero, ma finalmente poteva calmarsi e riposare un po’, prima di scendere ad Attmang per prendere la coincidenza per Francoforte. Aveva paura, però, di addormentarsi, per cui appena lo vide informò il capotreno della stazione dove sarebbe dovuto scendere, chiedendogli la cortesia di svegliarlo per tempo.

Appena il treno si mosse, vuoi per l’allentamento della tensione, vuoi per la stanchezza dovuta all’affannoso precipitarsi in stazione, Brahms – come aveva d’altronde previsto e in qualche modo sperato – iniziò a sonnecchiare e fu in uno stato di piacevole dormiveglia durante il quale gli tornò alla mente di quando, nel lontano 1853, appena ventenne, dopo avere esitato non poco, aveva deviato dal viaggio che stava compiendo per fermarsi a Düsseldorf, e andare a suonare a casa di Robert Schumann. Portava con sé alcuni spartiti, tra cui quello della Sonata op. 5, con l’intenzione, anche grazie a una raccomandazione del famoso violinista Joseph Joachim, di chiedere consigli al grande compositore e cercarne l’incoraggiamento. Quando fu invitato a eseguire qualcosa, il suo modo infuocato ed espressivo di suonare colpì immediatamente Schumann e sua moglie Clara, una grande pianista che aveva sacrificato la carriera per il marito e i figli. Ma per Brahms, la più grande emozione non fu nel momento in cui ricevette gli insperati complimenti di Schumann,

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