Chissà se in quel bizzarro contorcimento nella struttura del tempo di Nosferatu il sibilo e poi le grida sanguinanti di Ellen/Lily Rose Depp non siano quelle di chi sta godendo come una pazza e cerca in tutti i modi di reprimerlo. Sì, è stato quello che ho pensato fin dalle prime sequenze del film di Robert Eggers o, meglio, fin dalle prime volte che, da bambina e poi adolescente, vedevo i film di Murnau e poi Herzog. Questo nuovo Nosferatu li contiene tutte e due: li contiene e li rinnega apertamente, con la medesima forza e ostinatezza con cui Ellen dissotterra il versante oscuro del suo desiderio.

Le immagini che mi tornano in mente sono perlopiù i primissimi piani di Lily Rose Depp: le labbra serrate aperte e consumate dal legame inestricabile di dolore e piacere nell’appagamento, seppure un appagamento non terreno, o sulla soglia; l’ansiosa immobilità del suo corpo posseduto; il sangue che le sgorga dagli occhi rigandole le guance, sintomo che, nell’aldilà della sua vita “altra”, qualcosa sta succedendo.

La protagonista soffre di sbalzi d’umore, malinconie, sonno agitato e ha una febbre leggera che va via via aggravandosi. Ellen si sveglia nel cuore delle notti lontane dal suo Thomas/Nicholas Hoult, come se qualcuno le avesse strozzato il respiro o bloccato il petto con un corpo pesante, ed è come se si risvegliasse dopo un orgasmo: svuotata, ansimante, sanguinante. La sua prostrazione fisica e mentale è causata

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