… È prima che mi dovevano fare le domande, non adesso, dopo la separazione. Perché quando un film è finito è come quando ti sei lasciato con una donna e ogni volta che ti fanno delle domande accusi un po’ il colpo, o magari vorresti sentire tu cosa dicono gli altri. Perché comunque lei non c’è più, e tu stai elaborando un piccolo lutto. Bisognerebbe rispondere a monosillabi, come faceva Marco Ferreri. È contento di questo film? Sì, no. Cosa pensa del pubblico? Che è più intelligente di me. Così.
Siamo a casa sua, in cucina. Pietro Marcello comincia a parlare prima che io abbia acceso il registratore (che spegnerò più volte, perché la conversazione divaga su mille cose). È uno dei registi italiani di maggior prestigio internazionale. I produttori lo corteggiano, i festival lo riconoscono, lui si schermisce e ha in cantiere mille cose, iniziative collettive e dal basso. Il suo percorso è stato dei più irregolari: casertano di origini tutt’altro che borghesi, diplomato all’Accademia di belle arti, arriva al cinema autoprodotto, quasi a costo zero, dalle esperienze al centro sociale napoletano Damm (Diego Armando Maradona Montesanto) e si afferma con due documentari che sono in realtà due poemi visivi, Il passaggio della linea, sugli ultimi treni espressi notturni, e La bocca del lupo. Dopo lo stupendo canto sull’Italia che è Bella e perduta, il primo film con interpreti professionisti è Martin Eden, che frutta a Luca Marinelli il premio per il miglior attore a Venezia. Il suo ultimo film, Le vele scarlatte (L’envol), è stato prodotto e girato in Francia, dove il precedente Martin Eden ha avuto un grande successo. Tratto da un romanzo russo per ragazzi degli anni Venti, racconta di un uomo che torna dalla Prima guerra mondiale: sua moglie è morta, e la figlia appena nata è stata affidata a una specie di affettuosa maga contadina, in una fattoria nel Nord della Francia. Decide di crescere lui, insieme a questa donna, la bambina la quale, crescendo, sviluppa una sensibilità particolare e negli anni sogna l’arrivo di una nave con le vele scarlatte che la porterà via.
Dei tuoi film appena finiti parli sempre con insoddisfazione e, d’accordo, adesso ti sei appena separato da quest’ultimo. Però mi ricordo che mentre lo giravi eri più sereno di altre volte.
Questo per me è stato un instant movie. È stato girato in un momento drammatico. Io dopo Martin Eden ero stanco, avevo fatto la produzione di un film molto complesso. E quando sono andato in Francia per questioni di famiglia, non volevo fare niente. Ma hanno cominciato a farmi leggere romanzi, e fra questi c’era Le vele scarlatte, e me ne sono innamorato. È di uno scrittore russo, Alexandr Grin, morto in miseria in Crimea, caduto in disgrazia perché era un pacifista nonviolento. Poi lo abbiamo molto cambiato: alla fine lei veniva salvata da una specie di principe azzurro, ma oggi al principe azzurro non ci crede nemmeno mia figlia che ha otto anni.
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