Nella piccola bolla in cui vivono le persone che studiano la letteratura capita spesso che l’uscita di una nuova edizione, un articolo di giornale o l’ultima puntata di un podcast riportino d’attualità il tema della scarsa correttezza politica di un autore (più raramente di un’autrice) o di un libro rispetto alle sensibilità odierne. Ciò stimola alcune riflessioni.
La prima è che l’indignazione nei confronti di un’opera o di un fatto storico nasce spesso da una conoscenza inadeguata. Di fronte ad alcune riletture, d’altronde, è difficile fare a meno di pensare che chi le compie semplicemente non ha letto prima, o non con sufficiente attenzione, l’opera in questione. Questo spiegherebbe l’insistenza del dibattito su opere canoniche, quelle a cui la scuola permette di accedere più facilmente, e insieme l’assenza nel dibattito stesso di alcuni testi che potrebbero fornire agganci più interessanti e pertinenti. Parlando di violenza di genere, ad esempio, più che il Dante della Commedia mi pare rilevante quello di Così nel mio parlar voglio esser aspro.
Non voglio con questo delegittimare le voci che cercano di riformare il canone letterario, anzi: l’atteggiamento di completo rifiuto adottato da molti specialisti è parte del problema, poiché minimizza esigenze reali di molte persone che si sentono respinte e non ascoltate da scuole e università, ovvero quei luoghi che per primi dovrebbero offrire loro i mezzi per ragionare sui problemi. Però l’operazione andrebbe affrontata con la massima serietà. Solo con un lavoro che davvero rispetti e non distorca gli oggetti che studia sarà possibile interrogarci su ciò che i testi possono dirci ancora oggi. Come riassume Butler, infatti, «imparare a leggere le finzioni ci consente di dire a proposito del presente cose che, altrimenti, ci sarebbero precluse». Leggere bene significa innanzitutto non sentirsi moralmente superiore al testo che si legge.
Recentemente citato in diversi interventi legati a questioni di genere, il poema di Ariosto è noto anche a chi ne abbia una conoscenza appena liceale come un libro che tratta (anche) di donne
In questa prospettiva può forse essere utile partire da opere che già al loro interno tematizzano alcuni problemi vicini alla nostra sensibilità, leggendo le quali la critica, da secoli, si pone domande sull’atteggiamento del narratore nei confronti delle opinioni espresse dai suoi personaggi (e, in alcuni casi, su quello dell’autore stesso rispetto allo stesso narratore). È il caso dell’Orlando furioso. Recentemente citato in diversi interventi legati a questioni di genere, il poema di Ariosto è noto anche a chi ne abbia una conoscenza appena liceale come un libro che tratta (anche) di donne. Non ci fossero i cappelli introduttivi delle antologie sulla querelle des femmes o i diversi companion con i capitoli “filoginia e misoginia” a ricordarcelo, basterebbe una lettura della prima ottava (anzi, del primo verso) a renderlo immediatamente evidente: «Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, / le cortesie, l’audaci imprese io canto». In effetti, al di là degli episodi più noti, il poema mette in scena diversi aspetti del femminile e del maschile, e contiene inserti di commento nei quali il narratore si lascia andare a opinioni personali, aneddoti autobiografici e commenti moraleggianti.
Ebbene, non dico niente di nuovo quando faccio notare l’ambiguità della posizione ideologica di un narratore che può, nel Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti