Qualche tempo fa, giunta alla terza stagione, decidevo di interrompere tra gratitudine e perplessità This is Us, su Amazon Prime. La serie è molto piacevole: si tratta di una saga famigliare, dove la vita dei protagonisti, piena di vicende e complicazioni emotive, viene seguita nel tempo con approfondimenti delle dinamiche relazionali e psicologiche. Il suo problema però, e che trovo sempre più presente in altri prodotti anche di qualità, è una singolare caratteristica: in This is Us non ci sono cattivi. I protagonisti sono tutti inclusi in una logica della comprensione emotiva. Nessuno di loro è descritto come sgradevole agli occhi di qualcuno. Lo spettatore è portato a simpatizzare invariabilmente con tutti: se uno è razzista è per via delle condizioni socioeconomiche, se uno si droga e abbandona il figlio è perché è caduto in disgrazia, e via di seguito di riabilitazione in riabilitazione, in un crescendo di enfasi materna e conciliatrice. Pertanto, alla terza stagione di questo amorevole tripudio, ho capito che o interrompevo o andavo a delinquere.

Tuttavia, la tentazione malavitosa mi si è riproposta dopo qualche giorno, quando confrontandomi con altri genitori nella chat della classe di mia figlia più piccola, quarta elementare, ho partecipato a un dibattito su un episodio occorso all’uscita di scuola. Una mamma aveva rinvenuto sulla giacca di suo figlio uno sputo, e questo sputo l’aveva gettata in allarme, e detto allarme aveva risuonato nella chat come un sasso nello stagno. «Mio figlio non è stato!» dicevano diversi genitori, «questa cosa è inammissibile» dicevano altri, la rappresentante di classe si sentiva chiamata in causa e garantiva che, di questo sputo, ne avrebbe parlato con la maestra. Io per parte mia non sono stata da meno e ho chiesto se questo sputo era uno sputo inscritto in una serie, oppure se si trattava di uno sputo diciamo solitario, rapsodico.

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