La storia della musica è piena di opere “incompiute”, rimaste tali per motivi vari legati alle vicende personali o artistiche del loro autore: dalla morte (il Requiem di Mozart, L’Arte della fuga di Bach) a dolorose vicende storiche (Moses und Aron di Arnold Schönberg, interrotto e mai ripreso per l’ascesa del nazismo in Germania e la conseguente decisione del compositore di trasferirsi negli Stati Uniti) all’intuizione che forse in quella incompiutezza si celasse la perfezione (l’Ottava Sinfonia, detta appunto Incompiuta, di Franz Schubert). Quando un secolo fa, nel 1924, morirono due grandi compositori (anche se uno è molto meno noto dell’altro), Giacomo Puccini e Ferruccio Busoni, lasciarono entrambi incompiuta l’opera che, nell’intenzione di ciascuno di essi, doveva essere il loro capolavoro, qualcosa che avrebbe spinto le loro intuizioni musicali e drammaturgiche oltre le rassicuranti colonne d’Ercole della tradizione – che peraltro avevano già ampiamente valicato, forse non rendendosene perfettamente conto.

Dopo aver debuttato con Il trittico a Roma nel febbraio del 1919, Puccini era tornato in Toscana alla sua casa di Torre del Lago per riposarsi ma anche per pensare già – tipico suo – al nuovo progetto in cui lanciarsi. Come sempre, il compositore sentiva il bisogno di uno stimolo esterno, anche casuale: e capitò, infatti, che durante un viaggio a Londra, quella stessa estate, vide una messinscena di Oliver Twist tratta dal fortunato libro di Charles Dickens. Che Puccini parlasse poco o nulla di inglese non fu motivo di inibizione, il suo intuito teatrale bastava e avanzava per fargli capire se un soggetto era buono per essere messo in musica. Rientrato in Italia, chiese subito al suo librettista Giuseppe Adami (col quale aveva appena scritto La rondine nel 1917 e Il tabarro l’anno successivo) di lavorare al soggetto di Dickens, con l’idea di intitolarlo dapprima Mollie e poi Fanny. Adami scelse come collaboratore un veronese come lui, Renato Simoni, ma dopo essersi messi all’opera, i due furono ben presto fermati, a inizio 1920, da Puccini stesso, convinto di aver preso una cantonata con il Twist.

A metà marzo dello stesso anno, i tre – Puccini, Adami e Simoni – si trovarono dunque a Milano per discutere di un nuovo soggetto e, mentre erano a pranzo, Simoni gli nominò la Turandot di Carlo Gozzi come una possibilità da esplorare. Puccini non la conosceva e, poiché doveva partire di lì a breve per Roma, Simoni corse a procurargliene subito una copia, in modo che potesse leggerlo durante il viaggio: si trattava della traduzione di Andrea Maffei del testo di Schiller, elaborato appunto dal Gozzi. Simoni fece appena in tempo a passarglielo dal finestrino, prima che il treno si mettesse in moto. Puccini, trovato il soggetto molto affascinante, appena poté, scrisse allo stesso Simoni: «Ho letto Turandotte [sic]. Mi pare che non convenga staccarsi da questo soggetto. Lavorerei per semplificare il numero degli atti e per renderlo snello, efficace e soprattutto per esaltare la passione amorosa di Turandot […] Un’opera che possiamo rendere moderna, con il lavoro tuo, d’Adami e mio». 

Puccini in Turandot sperimentò in tutte le direzioni, introducendo potenti innovazioni musicali

La stesura del libretto andò avanti per quattro anni, tra alterne emozioni: Puccini chiedeva ai librettisti sempre nuove modifiche, poiché aveva molte ambizioni riguardo a quella che forse sentiva come la sua ultima opera, per cui desiderava creare qualcosa di fortemente innovativo, qualcosa di unico. E così fu: Puccini in Turandot sperimentò in tutte le direzioni, introducendo potenti innovazioni musicali (dissonanze, aspre sonorità, motivi tratti dalla tradizione cinese, per dare il tratto esotico, un’ampia orchestrazione con piatti, gong, campane, celeste, xilofoni) scene corali mai viste prima e un uso delle voci per gli interpreti che vengono spinte davvero ai limiti delle possibilità tecniche.

Questo contenuto è visibile ai soli iscritti

Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo.

Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.