Nel tardo pomeriggio di una domenica di fine gennaio sono andato a una presentazione del libro Ipnocrazia. Trump, Musk e la nuova architettura della realtà di Jianwei Xun (da poco pubblicato in Italia per Tlon, nella traduzione di Andrea Colamedici) che si teneva in una libreria di Roma. In quella stessa settimana c’era stata la cerimonia di insediamento di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti e – mi sono accorto mentre, a bordo del bus che attraversava il traffico della capitale, scrollavo distrattamente sullo smartphone – i feed dei miei social erano ancora infestati dall’immagine più clamorosa dell’evento: Elon Musk che rivolge alla folla un saluto romano o qualcosa che ci assomigliava molto. 

Per giorni il breve video del gesto è rimbalzato e si è moltiplicato nei social, calamitando l’attenzione in ogni spazio disponibile e alimentando un brusio infinito di commenti, interpretazioni, analisi, fact-checking, meme. Generando soprattutto emozioni forti, diverse a seconda di come ci si posizionava rispetto a Musk: indignazione e preoccupazione nel vedere uno degli uomini più potenti del mondo ammiccare così palesemente all’estrema destra, esaltazione per la spregiudicatezza del miliardario, divertimento per la sua capacità di “trollare” i benpensanti di sinistra, dubbio sulle sue vere intenzioni. In ogni caso quell’immagine andava immediatamente e automaticamente a rafforzare la narrazione a cui ciascuno aderiva (“Musk pericolo pubblico” contro “Musk genio liberatore”). Indiscutibile era il potere di quel gesto – amplificato per infinite volte dalla macchina dei social media – a cui nessuno poteva sottrarsi.

È questo il punto fondamentale del libro di Jianwei Xun (filosofo e teorico dei media originario di Hong Kong): viviamo in una «Ipnocrazia», cioè in un regime in cui il potere agisce principalmente creando e mantenendo nelle persone stati di coscienza alterati

Alcune settimane dopo, proprio nel giorno in cui mi ero messo a leggere Ipnocrazia, altre immagini, sempre legate alla nuova amministrazione Usa, stavano saturando i social e suscitando un flusso inarrestabile di reazioni: un grottesco video generato con l’intelligenza artificiale e pubblicato online proprio da Trump che mostrava la striscia di Gaza trasformata in una riviera di lusso con grattacieli, spiagge, dollari che cadono dal cielo e statue dorate dello stesso presidente americano. Di nuovo, come con il braccio teso di Musk, quelle immagini nel loro alzare ancora una volta l’asticella nel livello di sguaiatezza della comunicazione politica, nel loro essere volgari, scandalose, offensive, insomma eccessive anche rispetto al grado di assuefazione comune ormai raggiunto, risultavano irresistibili. Di nuovo quelle immagini ci hanno travolto e hanno alzato la nostra temperatura emotiva. Pochi giorni dopo, con l’incontro di Trump e Vance con Zelensky trasformato in uno spettacolo a metà tra un agguato di bulli e un talk show trash, si rilanciava ancora. 

Al di là delle spinose questioni di politica internazionale, quello che interessa qui è l’impatto emotivo e cognitivo di questi episodi (insieme a tanti altri paragonabili che sono accaduti e che presumibilmente continueranno ad accadere): quanto essere esposti quotidianamente a stimoli del genere influenza i nostri stati di coscienza? È

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