1. Sera, stesi a letto, la tua testa sul suo cuore. Un muscolo che “va da solo”, pensi: assurdo; neanche troppo. Vedi: parecchi altri organi. Da questa posizione osservi le sue gambe nude, più grandi del normale, e ti chiedi: materne? (le gambe). Preoccupazione inevitabile in un pensiero del genere, per parecchi motivi. Però no, soltanto grandi, viste da qui. Con l’orecchio sul suo cuore, fra l’altro, ti dimentichi del tuo. Reminiscenze post-amniotiche? Un cuore che batte dentro un altro cuore che batte e sembra una casa. Ma che pace in fondo. Il suo, per così dire, è un cuore certo, da ciclista: lento, costante, ritmato. Che poi il cuore è la meno certa e costante di tutte le amenità umane… palpitazioni, disamori, infarti. Presto o tardi anche il suo perderà dei colpi, o si danneggerà.
2. Sempre a letto, pomeriggio: la camera bianca, la finestra sul soffitto un metro quadro circa (forse meno) di azzurrata indifferenza: campo e controcampo, il cielo e voi. La sua vagina ti guarda sconvolta, sbalordita (a bocca aperta). Dopo il sesso tu e lei siete caduti indietro e ora ve ne state sesso a sesso, sul materasso, a gambe aperte. Pene e vagina vis-à-vis che si riflettono, si rispecchiano, rimuginando, narcotizzati dall’orgasmo, sulle loro occulte somiglianze.
3. In nessun luogo specifico e in tutti insieme. Da ormai parecchio tempo, fra di voi, avete iniziato a scherzare storpiando un accento bolognese misto ligure, davvero non sapreste dire perché: lei marchigiana, tu lombardo. C’entrano retaggi più o meno antichi, più o meno destrutturati e ricostituiti ma a casaccio, influenze consce oppure carsiche oppure entrambe: gli amici, l’imbarazzo (combattuto e vinto), la confidenza che s’allarga a macchia d’olio, sconfinando in indecenza – un ricordo di tua nonna, ligure peraltro, ma qui è irrilevante, che diceva di continuo: troppa confidenza ammazza la riverenza!
4. Molto tempo fa, in uno stato, inteso come nazione, ma non solo, ora che ci pensi, diverso da quello in cui ti trovi ora; tre di notte circa, sempre a letto: gli occhi di lei, stanca, quasi addormentata – «sembri un elfo, con questi occhi che ruminano cose verdi» – come uniche cose vive nel suo viso. Cose vive dentro cosa viva. Parassiti?
5. Di nuovo radicamento indefinito nel dove-quando, forse mattina presto, tempo fa, dopo una litigata logorante: uno, esercitarsi a essere felici, è difficile, serve impegno, nessuna paura; due, esercitarsi a sperimentare nella coppia libertà, molto importante; tre, ogni rapporto emotivo limita la libertà individuale, e l’amore, quale rapporto emotivo antonomastico, è la forma più raffinata, e felicemente trogloditica, del desiderio di non essere liberi; o della paura speculare, cioè di esserlo: stessa cosa.

6. In luoghi differenti, in tempi differenti, in varie posizioni, stati e tutto quanto: annaspando in un litigio l’unica certezza è il non ritorno, la certezza che da lì in avanti la serenità (o la salvezza) sarà impossibile. A litigio consumato, poi, una calma piena di pericoli. Ma quando succede che alla fine ti ritrovi in patria, rifocillato e al caldo, sembra che siano stati altri. Dopo, vale a dire, non sembra che sia successo a voi, né per davvero.
7. Sera, ventidue circa, sulla navetta che dall’aeroporto vi lascerà alla fermata del tram che vi riporterà a casa; siete stanchi, un lungo viaggio. Poggi una mano sulla sua gamba, sembra che le dia sollievo. Poi la sposti; lei te la riprende e la rimette dov’era. Poco prima ti aveva detto di sentirsi «spersa», di non riconoscersi più da un po’ nelle cose che faceva. Quando ti ha ripreso la mano e se l’è rimessa sulla gamba tu ti sei sentito ancora più in colpa: non potevi fare altro che quello stupido gesto inutile, sapendo che non sarebbe servito a niente. Lei sta male, accanto a te, e tu riesci soltanto a farle una carezza.
8. (Valga la notazione spazio-temporale del frammento numero 6). Ti deve crocifiggere, tutte le volte. Mai che bastino delle scuse, mai che si passi oltre con un sorriso o una risata. C’è una discrepanza insanabile, in quei momenti, un’aritmia che vi fa incespicare come se vi conosceste appena da due giorni e non due anni. Tu hai bisogno di un sorriso a monte che lei non può concedere; lei si aspetta delle parole a valle che tu non riesci neanche a immaginare: avete bisogno della stessa cosa, veramente, solo la vorreste in due forme e tempi differenti. Il litigio è un’opera atonale.
9. Di nuovo a letto; all’inizio quasi sempre, ora invece emerge a tratti, quasi mai in verità: la sensazione differente del toccarsi: la sua pelle che ti rimanda indietro solo la sensazione della tua mano: attraverso lei è come se toccassi te stesso; lei che dice il contrario: «Mi viene da stringere perché mi sembra di non toccarti mai davvero, vorrei entrarti dentro». Opposti e vicinissimi, come gli emisferi del cervello: le vostre mani sono il corpo calloso che vi unisce.
10. Collasso del tempo-spazio questa volta, trattandosi di un desiderio, cioè di un’altra dimensione; benché a suo modo elettrizzante, rintracciare il dove-quando del desiderio ti disperderebbe in una sincronicità ingannevole: il desiderio informa di sé tutto quanto, anche la memoria, distorcendola, inducendoti a pensare che esso (il desiderio) esista da sempre. Vorresti che la vita fosse tutta un’eterna mattina, un prolungato svegliarsi. Ogni mattino è una promessa, tempo appena creato che inizia a srotolarsi sotto i vostri piedi, in una reiterazione continua del primo giorno. Ogni notte la condanna, al mattino la grazia, in un ciclo costante di salvataggi e recuperi, in barba alla morte dell’amore “per cause naturali”.
