Nel 1992 l’amabile Gianni Minà intervista Massimo Troisi durante la trasmissione Alta classe in onda su Rai1, e gli domanda «Qual è la donna per te preferita? La donna più ambita?», l’attore replica «[…] La mia donna ideale, io lo dico anche a rischio di perdere l’amicizia… la mia donna ideale è la donna di un altro. Io sono pigro, non mi va di uscire. Allora se c’ho una donna che non può uscire – c’ha il marito geloso – viene da me e sta a casa: non possiamo andare a cena, non possiamo andare a teatro, non possiamo… Quindi più che la donna ideale, c’ho il marito ideale della donna ideale: uno geloso». Il pubblico ride di gusto, provando a esorcizzare con ilarità un’evidenza tacitamente acquisita: il tradimento non può che essere una costante onnipresente. 

Osservando i volti sorridenti dei presenti in studio travolti dell’effetto Troisi, mi auguro che dietro ogni uomo dal sorriso beffardo ci sia un traditore ben allenato, seriale, un bugiardo dalla grande inventiva dedito alla seduzione. Ma come se la cavano questi Don Giovanni nell’atto di essere amanti? Tradire prevede un’astuzia calibrata, una fine accortezza, un ottimo livello di zelo, qualità che un uomo avrebbe dovuto affinare nell’arco di secoli di pratica e dedizione (che non lasciano spazio alla banalità della partita di calcetto). Performare da sobri amanti, ci ricorda Alessandro Zaltron in About sex (Mondadori, 2020), non è affatto un dato scontato: «È un’arte saper fare l’amante. Un amante resta nell’ombra, interviene quando serve e all’occorrenza si fa da parte; si mimetizza o scompare nel weekend e ai pranzi di Natale. Discreto, disponibile, non chiede l’amore esclusivo o la separazione dell’altro. […] non sono mogli o mariti di serie B, non si sentono clandestini, ancillari, non ambiscono a recitare da controfigure. […] ha il ruolo più ingrato di tutti: dà sollievo a mogli e mariti insoddisfatti. Un amante permette al traditore di sfogare desideri e frustrazioni represse, affinché poi torni al partner ufficiale con rinnovata baldanza. Gli amanti sono le badanti del matrimonio. E senza chiedere niente in cambio! Per questo dovrebbero essere passati dai servizi sociali».

La discrezione, al di là del genere di appartenenza, è qualità fondamentale di ogni buon amante, in quanto il rischio dell’indiscrezione potrebbe miserabilmente replicare la medesima gabbia che già fagocita la coppia

La discrezione, al di là del genere di appartenenza, è qualità fondamentale di ogni buon amante, in quanto il rischio dell’indiscrezione potrebbe miserabilmente replicare la medesima gabbia che già fagocita la coppia. O ancor peggio, si potrebbe scadere nell’ossessione di chi pretende di programmare un futuro relazionale che non può e non deve esistere. Questo è l’errore che fa Robert, l’amante in Una donna sposata di Jean-Luc Godard, anno 1964, tutte le volte che domanda all’ormai esausta Charlotte «Quando andiamo a vivere insieme? Stiamo insieme già da tre mesi», e lei sfinita risponde «Te l’ho detto: non prima che sia divorziata. Le cose non vanno così in fretta»; ma per Robert l’amor proprio non esiste, e continua con l’elemosina: «Mi giuri che gli hai parlato?», a quel punto Charlotte taglia corto con un secco: «Sì».

Accade diversamente in Una moglie molto infedele (Giorgio Grand, 1988) ogniqualvolta che Maria, moglie-protagonista di una pellicola in cui colleziona tradimenti, va dal suo amante preferito, un fisioterapista che con totale discrezione, senza pretese e soprattutto in modo efficiente, porta a termine la propria missione: fare sesso con la paziente. Mentre Robert, il cervellotico francesino, convive terrorizzato con lo spettro del marito della sua amante, il fisioterapista italiano stringe la mano al marito confortandolo: «Non si preoccupi, sua moglie è in ottime mani. Può aspettare in sala d’attesa». Certo, facile a dirsi che il trattamento andrà bene quando il fisioterapista è interpretato da Rocco Siffredi. E non da meno risulta essere l’interpretazione di Lilli Carati nei panni di Maria, moglie ricca di energie. Ci vuole un certo pragmatismo per essere dei perfetti amanti.

Nella pellicola di Giorgio Grand, Maria non perde alcuna occasione per tradire suo marito. Lo fa dalla mattina alla sera, lo fa senza posa, in modo del tutto godereccio e priva di ogni tormento. È come se avesse letto due elogi molto utili alla sua perseveranza: Elogio del tradimento di Gemma Gaetani (Vallecchi, 2010) ed Elogio dell’adulterio di Maria Roccasalva (Tullio Pironti Editore, 2010). Due testi gioiosi che abbracciano le contraddizioni relazionali tenendo conto della miseria umana. Gemma Gaetani, nel suo libro, mette subito in chiaro una questione: «[…] Sposarsi pure, va bene, se proprio ci tenete, ma tradire sempre». Tradire è fondamentale.

Le autrici, Gaetani e Roccasalva, nel tessere le lodi dell’adulterio, hanno in comune un certo astio nei confronti del progressismo e sfociano – da credenti – in un complesso rapporto con Dio. 

Il progressismo rappresenta per entrambe una mal celata volontà di controllo da parte degli uomini – sì, ancora una volta l’uomo non tiene a bada il proprio protagonismo. Entrambe concordano sul fatto che configurazioni relazionali presentate dal progressismo come oasi del piacere e della pace senza limiti – coppia aperta, poliamore e così via – altro non sono che strumenti utili all’uomo per tenere sotto sorveglianza le mosse della donna. Una sorta di piano maschile per poter dire «sempre da me torni, perché io sono il migliore». Roccasalva ne fa addirittura una questione di potenziale rivendicazione sottratta alle donne, quando scrive: «Viene da piangere se si pensa come il Progresso abbia così alacremente e protervamente lavorato a privare i cittadini di sesso femminile dell’unico atto di eroismo concesso loro attraverso millenni. […] L’adulterio era l’unica libertà di cui la donna si fosse potuta appropriare, una libertà nascosta, invisibile, che osava affermarsi solo nel chiuso di una stanza, e per questo infinitamente più conturbante di qualsiasi rivendicazione gridata in faccia». Similmente, per Gaetani non bisogna farsi fregare dalla retorica progressista che tutto in una relazione debba essere sincero, verbalizzato e discusso; ci sono zone grigie e sadiche che in un rapporto vanno preservate, anche per il solo divertimento egoistico che un segreto riesce a regalare.

Nel legame con Dio le scrittrici vivono delle divergenze: Gaetani dichiara fedeltà solo a Dio, l’unico meritevole di un tale sacrificio; Roccasalva sfida invece perfino Dio: «Spogliato di quell’aura fosca e sinistra di peccato nel quale esso si consumava affermandosi, l’adulterio è stato privato anche del suo carattere eroico di ribellione, in ossequio alla suddetta società che non tollera né eroi, né eroismi silenziosi. […] Perché l’adulterio, prima di essere un incantamento, era un gesto di sfida rivolto a Dio, che nel sesto Comandamento è stato chiaro su questo punto: Non commettere adulterio; ma era anche una minaccia alla società civile, al suo ordine e alla sua stabilità». Insomma, Roccasalva non le manda a dire.

A questo punto, la domanda sarebbe: “Perché fidanzarsi, sposarsi o semplicemente essere coppia, se si vuole tradire? Non si potrebbe rimanere single in modo tale da essere liberi di fare ciò che si vuole?”

I due libri diventano un momento per riflettere sull’importanza dell’individualismo all’interno della coppia, sul rendersi traditrici gioiose che mettono al primo posto il proprio piacere e sulla necessità di controllare le emozioni tenendo presente che ogni incontro è unicamente un’occasione di divertissement. A tal proposito, Gaetani consiglia la parabola del pallonequando si sta per scadere nel tedio del prevedibile innamoramento: «Ricordate, lo stato di innamoramento è uno stato di invaghimento. Uno stato egocentrico. Uno stato di desiderio di conquista. E voi nuovi adepti del tradimento seriale dovete riuscire a distaccarlo dalla connotazione amorosa con la potenza di un calcio a un pallone, altrimenti vorrà dire che non avete capito nulla». 

A questo punto, la domanda sarebbe: «Perché fidanzarsi, sposarsi o semplicemente essere coppia, se si vuole tradire? Non si potrebbe rimanere single in modo tale da essere liberi di fare ciò che si vuole?». No, certo che no. Le relazioni sono un accumulo di fragilità, di compensazioni delle proprie insicurezze e di beate contraddizioni. Elimini il tradimento e hai eliminato il meglio. Oggi il tradimento è un fenomeno ancor più divertente del passato, perché come giustamente sottolinea Esther Perel in Così fan tutti (Solferino, 2018): «Quando il matrimonio era un accordo economico, l’infedeltà minacciava la nostra sicurezza materiale; oggi che il matrimonio è un accordo romantico, l’infedeltà minaccia la nostra sicurezza emotiva». Il tradimento persiste nel suo status di tabù attuale, di pratica condannabile e per certi versi è addirittura più succulento del passato.  

Il tradimento va a braccetto con la monogamia: l’uno è indispensabile per l’altra. David P. Barash e Judith Eve Lipton nel saggio Il mito della monogamia (trad. di Luca Scarlini, Raffaello Cortina Editore, 2002) ci tengono a ribadire più volte che: «Nessun altro pattern coniugale ha mostrato di funzionare come la monogamia. […] essa è forse come la democrazia secondo Winston Churchill: il peggior sistema possibile, tranne quando si prendono in esame le alternative». 

Quindi, cosa fare con questo aggeggio moribondo che è la monogamia? Semplice: imparare a essere amanti discreti, traditrici molto accorte (si direbbe low profile), a indossare le corna con eleganza e mai – davvero mai – reagire al tradimento con violenza. E come insegna Lilli Carati: evitate di destare inutili sospetti. Meglio farsi accompagnare dall’amante direttamente dal proprio marito.