C’è un tempo negli spazi. 

Napoli. Via Costantinopoli. 21 settembre 2019. È qui che incontro per la prima volta Danilo e che mi parla dell’affresco di Goya, Il cane nella rena. Gli ho appena raccontato di un progetto di scrittura al quale sto lavorando. Un giallo ambientato in un condominio napoletano, con tanto di sovrapposizione di piani temporali: tempi diversi, stesso luogo. Lui mi dice che gli ho fatto venire in mente Il cane nella rena di Francisco Goya. Il cane nella rena appartiene al ciclo delle Pinturas negras, 14 affreschi realizzati da un Goya malato nella sua casa della Quinta del sordo, a Madrid. La Quinta del sordo è stata poi demolita nel 1910. Gli affreschi sono stati trasferiti su tela e adesso Il cane nella rena si trova al Museo del Prado. Il cane sta per essere travolto dalla sabbia del deserto, mi dice, il pittore va a cercarlo proprio lì, lo coglie nell’istante. A breve la rena ricoprirà anche la testa e della sua esistenza non resterà alcuna traccia. Del progetto del condominio non ne ho poi fatto nulla. Questa immagine del cane che è sul punto di scomparire, invece, torna spesso a trovarmi. È un affresco sul tempo? Gli chiedo, quattro anni dopo, accovacciata su uno scoglio. È un affresco sull’empatia, mi risponde. 

Eterotopia I 

Nell’estate del 2012 andavo spesso in moto con Nino nella zona dei campi Flegrei. Il tragitto da Napoli a Bacoli era molto suggestivo. In un tardo pomeriggio, seduta accanto alla vetrata di un pub sulla spiaggia, ho bevuto per la prima volta la birra. È con Nino che ho scoperto i campi Flegrei, mi ricordavano molto casa mia, ma senza l’inquietudine che in quel momento mi procurava tornare a casa. Nino era strano, ma era una brava persona. Di lui ricordo il volto e il nome, ma ho sempre fatto finta di non riconoscerlo ogni qual volta, incontrandolo per strada, lui ha accennato un saluto. Mi sono sempre girata dall’altra parte, tutto doveva continuare a funzionare. Con Nino mi vedevo a qualsiasi ora del giorno e della notte, scendevo di casa anche alle 3 del mattino pur di incontrarlo e parlargli di Tommaso. A quell’epoca mi pareva fondamentale parlare di Tommaso, non potevo farlo con nessuno. In uno degli incontri nel suo studio abbiamo fatto sesso, lo avevo trovato abbastanza naturale, era anche un modo per ringraziarlo. Nel sesso, erano gli sconosciuti che preferivo, diventare sconosciuta anche io. Denudarmi di me, mettermi da parte, restare a osservare talvolta. O talvolta lasciare che solo il corpo si rigenerasse in una sorta di meditazione tutta mia. E con Nino mi era stato facile mettermi da parte. Mi procurava ribrezzo l’odore di sigaretta che emanava dalla sua bocca, le unghie torturate e sporche che puzzavano di tabacco, saliva e urina. La sua igiene incerta. Non gli ho permesso di baciarmi, non ho partecipato al rapporto sessuale. Mi ha eccitato non permettergli di toccarmi, lasciare che il pene fosse l’unica parte del suo corpo a entrare in contatto con me. Anche lui mi rendeva partecipe delle sue angosce, si era innamorato di una ragazza in una realtà virtuale chiamata Second Life. Il monitor sulla scrivania dello studio a Borgo Orefici era sempre acceso e il posacenere strabordava di filtri.

Nino aveva 43 anni, era un debosciato, ma mi dava saggi consigli e sapeva ascoltare. Adesso ricordo quei pomeriggi sul tardi, il vento caldo sul viso, il viaggio in moto fino a Capo Miseno. Erano momenti di pura bellezza e sollievo nella mia vita squallida e quei momenti li ho condivisi con un uomo di 43 anni, senza lavoro, senza progetti, con ogni probabilità depresso, che fumava canne e trascorreva l’80% del suo tempo vigile su Second Life. E adesso ne parlo perché è stato un incontro vero tra due esseri umani. E tutto ciò che è stato tra noi, il mio disgusto per la sua persona, la puzza di saliva e sigaretta mentre mi penetrava e io mi bagnavo, la birra fredda bevuta dietro la vetrata che dava sulla spiaggia, il pomeriggio che siamo andati a trovare un suo amico scrittore, sulle colline di Bacoli, in una casa con giardino terrazzato e lo scrittore e la moglie mi hanno raccontato aneddoti sulla giovinezza di un uomo che per me non contava nulla, se non il fatto di essere il sedativo della mia ansia, e io ascoltavo e sorridevo mentre mangiavo i fioroni riposti nella cesta sull’incerata, la luce che entrava morbida attraverso le tende a corde di plastica bianca, il cane che gironzolava tra le nostre gambe, tutto è stato un contatto vero tra due esseri umani che non hanno chiesto niente di più all’altro che potersi mostrare nella propria fragilità. Vorrei dire a Nino che lo so, quando mi giro dall’altra parte e lui si accompagna sempre a qualcuno nella sua disperata resa. Lo ricordo. Ci ripenso, ripenso a quella ragazza adesso che sto qui a domandarmi se chiedere il trasferimento sia una buona idea, in che luogo potrei sentirmi a casa. Adesso che penso ai miei genitori, che potrebbero avere bisogno di me, un giorno. Adesso che mi preoccupo di stringere amicizie qui a Verona, crearmi una mia dimensione e temo di non esserne capace, di non possedere le opportune skill sociali. O adesso che inizio a dirmi che dovrei comprare casa, magari iniziare con una macchina, forse sarà necessario sposarsi per il trasferimento di cui sopra. Prima o poi dovrò diventare grande, assumermi delle responsabilità. Rischiare di non poter tornare indietro. Poche ore fa Rosalia a cena mi faceva riflettere sul fatto che tutto sommato non dobbiamo pensare più alla casa come la intendevano i nostri genitori o i nostri nonni. Un qualcosa di stabile e solido nel quale investire tanto. Ma un qualcosa di più mobile. Un immobile da comprare e rivendere semmai all’occorrenza, adattandosi a quel che la vita ci porta. Non deve mica essere una scelta definitiva. Penso a quanto sia intelligente Rosalia. Rifletto anche sul perché mi facciano paura le scelte definitive, arrischio delle risposte, ma la persuasione di Rosalia non è rivolta a me, ma a suo marito Orazio che le siede di fronte e mi rivolge uno sguardo d’intesa. E poi pagare l’affitto non conviene, con i prezzi di adesso poi. Alla tua età potresti avere molte agevolazioni sul mutuo. Pensa a quanto si è liberi però quando non si possiede niente. Sembrano questioni fondamentali, lontane anni luce da quella ragazza impaurita, da quella mina vagante.

Eppure ho ripensato a lei adesso nel letto, dopo la cena indiana di ieri sera, che è forse il motivo che mi tiene sveglia a quest’ora della notte. Ho ripensato a lei così intensamente da ricordarmela sul serio, il ricordo mi ha fatto eccitare. Il potere immenso di far rivivere il passato, richiamare dall’ombra i morti. E attraverso il suo ricordo sono ritornata al discorso con la coppia di nostri amici, la sera prima. Davanti a un calice di recioto abbiamo riflettuto su cosa conterà e farà la differenza adesso che l’AI si prepara a sostituirci, almeno nelle questioni tecniche. Abbiamo parlato della loro generazione e della mia. Abbiamo parlato della generazione dei nostri genitori e dei nostri alunni. Per un attimo Orazio ha accennato alla generazione dei figli che non abbiamo. Ho detto qualcosa riguardo all’importanza di centrarsi e conoscersi per resistere alla disperazione. Forse per un attimo ho pensato a lei e ecco, adesso, il ricordo, come un sogno vigile. È accaduto come accade per i sogni, qualcosa colpisce il nostro inconscio e poi lo riacciuffiamo. Adesso sono sveglia sul serio e rimangono le chiacchiere da adulti. Mi riaccompagnano al sonno. Non le gestisco del tutto. Tra poche ore ci sarà l’ultimo Collegio Docenti, poi dovrò sistemare casa prima della partenza. C’è la valigia da preparare, ci sarebbero da pulire i vetri. La cesta dei panni sporchi resterà piena per metà. Pazienza. L’importante è che si chiuda. Domani ci sarà tempo anche per ripensare con imbarazzo a quel che ho scritto. Il pudore mi renderà difficile la rilettura. Mi sembrerà davvero un sogno.

Gli uccelli iniziano a cinguettare fuori dalla finestra. Sono i primi pensieri del mondo. Dovrò sforzarmi di dormire almeno un paio d’ore. Due giorni fa è morto Silvio Berlusconi, ieri si sono tenuti i funerali di Stato, è stato dichiarato lutto nazionale. Ha procurato indignazione generale nella bolla di quelli che conosco. Io e Danilo restiamo per lo più indifferenti alla notizia che abbiamo appreso su un post di FB, seduti sulle seggiole della sala d’attesa dell’Aulss 9, dove ci siamo recati per richiedere un’esenzione. Non mi consenta più, legge Danilo a alta voce. È morto Silvio Berlusconi? Sono nata nel 1991, non ricordo una società senza Silvio. Ci ha deideologizzato recita un articolo di giornale che leggo per ammazzare il tempo e per il gusto della commemorazione. So già cosa ha significato per tutti noi. Nulla è cambiato. E forse tutto questo ha a che fare con la disperazione. Con la crisi del 2008, con il Covid e con la guerra in Ucraina. Per questo forse oggi lei mi è venuta a trovare. Sarà che è giugno. Che l’aria è fresca e profuma di gelsomino. Che percorro le strade della città in cui vivo da tre anni e ho ancora un po’ di birra in circolo a alleggerirmi i pensieri. Sembrano fondersi con l’azzurro del cielo delle 8 in estate, io mi sento felice e in sintonia con questo cielo e con questa aria. Sul ponte il 12 è fermo al semaforo. Anche io dovrò attendere: ogni mattina questo semaforo mi fa rischiare di fare tardi. Le vetrate accolgono indiani, donne al telefono e adolescenti pronti a fare serata. E io mi sento assai vicina alla persona che sono.