Ieri è uscita in Italia la terza stagione della serie televisiva The Bear, creata da Christopher Storer. Gianluigi Rossini e Sofia Torre hanno già discusso delle prime due stagioni. Oggi si confrontano sulla terza.
S.T.: La terza stagione di The Bear si apre con un magnifico collage di nostalgia, dolore e rimpianto. Occasioni perse, fatica e senso di inadeguatezza vengono miscelati a istantanee di persone amate, di lacrime e non detti, resi visivamente da una carrellata di figure intere, piani americani e dettagli di visi amareggiati e delusi. Il primo episodio si intitola “Domani” ma è volto al passato. È il racconto del giorno dopo l’apertura, dopo la catastrofe e la disfatta – più umana che lavorativa – di Chef Carmy, che sente di aver fallito, deludendo tutti e tradendo una sorta di missione autoimposta per amore della cucina. La critica sociale e la narrazione dell’infelicità rispecchiano infatti le due facce dell’etica del lavoro per amore: da un lato la soddisfazione, l’appagamento e la sensazione gratificante dell’insostituibilità professionale, dall’altra il vuoto emotivo, l’inscalfibile incomprensione e la solitudine come condizione imprescindibile. La rappresentazione del rimpianto, riassunta in “Domani” dai brevi scambi tra affetti stabili che non riescono a trovare un punto di contatto, si fa epitome dell’intera stagione e dell’evoluzione dei personaggi. Il protagonista veicola una sorta di sineddoche dell’intera narrazione: Carmy è lacerato dal lutto, dall’angoscia e dall’incapacità di trovare un equilibrio tra vita personale e lavoro. Se il focus della prima stagione è il lavoro e la seconda restituisce un ritratto dettagliato dei protagonisti, la terza pone l’accento sulle relazioni umane e sul loro senso nel poco tempo lasciato a disposizione dalla società tardo-capitalista. Il mito del lavoro creativo e coinvolgente, che finge di garantire la realizzazione personale al posto della sicurezza economica, viene smascherato da immagini di fatica, vuoto e incomprensione, portando lo spettatore a chiedersi quale sia il prezzo da pagare per un lavoro che amato ma che non può amarti a sua volta.
G.R.: Finalmente il muro dell’omertà inizia a cadere: The Bear 3 è stata stroncata dal New Yorker, e anche un entusiasta come Alan Sepinwall ha espresso perplessità nel suo pezzo su Rolling Stone. I problemi sono tanti, ma innanzitutto questa stagione chiarisce definitivamente come l’unica cosa che The Bear tiene davvero a comunicare è quanto The Bear sia ambiziosa, innovativa, importante, e lo fa attraverso esibizioni di stile fini a se stesse. Tutto il resto è sacrificabile: dal punto di vista del plot, si pretende di fondare la linea narrativa principale sulle difficoltà create dall’inspiegabile e inspiegata decisione di Carmy di cambiare menù ogni giorno, motivo per cui il ristorante è sempre pieno ma non produce utili e rischia di fallire. La psicologia dei personaggi, quando va bene, è ridotta all’osso Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti