Di recente mi è capitato di raccontare a un’amica di mia figlia perché è bello occuparsi di architettura: non è solo un lavoro, infatti, ma una condizione mentale. Per spiegarglielo meglio, avrei dovuto portarla a visitare una mostra appena aperta alla Triennale di Milano.
Sto parlando della mostra Gae Aulenti (1927-2012), visitabile fino al 12 gennaio 2025, dove, attraverso un montaggio serrato di spazi, tempi e luoghi che ci proiettano in un’altra dimensione, emerge il lavoro di una progettista raccontato per mezzo della ricostruzione fisica delle sue idee.
Grafica, teatro, allestimento, architettura, design, paesaggio: questi sono i mondi in cui Aulenti si è mossa per tutto il corso della sua lunghissima carriera, con una disinvoltura che ben pochi architetti uomini hanno saputo mantenere. Architetto e designer di fama internazionale, Gaetana “Gae” Aulenti si laurea in architettura a Milano nel 1954. Collabora con la rivista «Casabella-Continuità» (1955-1965), che si rivela fondamentale per la sua formazione, partecipa alle Triennali di Milano del 1960 e del 1963, inizia la sua collaborazione con marchi e icone della ricerca progettuale di quegli anni: Olivetti, Fiat, Knoll, aziende per le quali Aulenti realizza showroom, uffici ed esposizioni in Italia e all’estero. Nello stesso periodo disegna prodotti di successo per Artemide, Poltronova, FontanaArte, si muove sul limite tra interno ed esterno dedicandosi all’architettura in modi sempre diversi e con estrema coerenza. In Italy: The New Domestic Landscape (1972) al Moma di New York, disegna uno spazio domestico così innovativo da trasformare questo campo di intervento in un terreno di sperimentazione costante. Appartamenti, negozi, allestimenti e musei: i più iconici forse sono la Gare d’Orsay di Parigi, trasformata in Museo (1986); Palazzo Grassi a Venezia (1986); il Museo Nazionale d’Arte Catalana a Barcellona (1995); le Scuderie Papali a Roma (2000); l’Asian Art Museum a San Francisco (2003).

La Gae, così la chiamavano nella sua Milano,
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