In Francia si è molto parlato, nell’ultimo mese, di un accattivante volumetto che, rispolverando gli ori di una tradizione culturale dell’Ancien Régime, la galanterie, pone, già dal titolo, un interrogativo per il tempo presente: Si può ancora essere galanti? (Peut-on encore être galant?, Seuil, 2024). La ricezione di questo breve saggio dalle ambizioni panflettistiche – scritto da Jennifer Tamas, docente di letteratura francese alla Rutgers University del New Jersey – è stata amplificata da un fatto di cronaca che ha sconvolto l’opinione pubblica d’Oltralpe: l’affaire degli stupri di Mazan (dal nome del paese in cui sono stati perpetrati), di cui si celebra in queste settimane il processo: oltre cinquanta imputati per violenza sessuale su una donna che, drogata con psicofarmaci dal marito, veniva inconsapevolmente immolata nel sonno a sconosciuti da lui negli anni reclutati tramite internet. Uomini il cui profilo perlopiù ordinario, da monsieur Tout-le-monde, ha rafforzato le tesi di chi vede nei soprusi contro le donne un fenomeno di ordine “sistemico”. Nel contesto traumatico di questo processo, la nozione di galanteria proposta da Tamas è parsa come un possibile antidoto al veleno delle violenze di genere.
Ma risaliamo, insieme all’autrice, alle origini storiche del fenomeno della galanteria. Prima di diventare un codice di comportamento maschile con accezioni varie e variegate – dal semplice tenere la porta o offrire una cena a una donna al corteggiarla con delicatezza o lusinghe –, la galanteria fu, in Francia, una corrente con espressioni capitali in campo letterario (Racine), pittorico (Watteau), musicale (Rameau). Questa corrente dominò la cultura francese per almeno un secolo,
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