Un pomeriggio di cielo basso e di trama granulosa. Se mai dovesse piovere, a scendere non sarebbe acqua, forse polvere, forse briciole di materiali edili. Qui la natura è stata rinchiusa nelle rotatorie e negli spartitraffico, l’erba è un contorno per vialetti, serve solo ai cani. Parcheggiamo la macchina sul lato di un edificio basso e tozzo, io e mia figlia scendiamo subito e ci mettiamo ad aspettare sugli scalini di cemento che reggono, con un certo distacco, fioriere da cui sbucano plotoni di nodosi gerani rossi. Qualche manovra e ci siamo, la macchina è adesa alla parete, strano che non abbiano pensato a un posteggio più accogliente per tutti i clienti. Intorno a noi ci sono poche auto, non più di quattro o cinque. Mio marito ci raggiunge con un balzo.
Il nembostrato, intanto, incombe ma non si decide: niente pioggia, minaccerà soltanto.
Oltre la porta a vetri, in cima ai gradini, ci accoglie una giovinetta truccata come un’adulta e vestita seguendo un’idea astratta di professionalità: divisa di giacca e pantaloni neri, camicia bianca, scarpe con i tacchi alti. Lucore sintetico e stridente con la faccia fresca. Ci offre dell’acqua e due dolcetti colorati e con lei superiamo la seconda soglia, andando oltre l’anticamera, che mantiene il sapore fattivo dell’officina e, attraverso grandi vetrate incastonate in cornici pesanti, lascia intravedere computer e scartoffie. I nostri soldi sono in buone mani: finiranno nelle tasche di gente che lavora duro, guardate qui.
La ragazza ci lascia a una sua collega, appena più anziana, che dissimula i lineamenti aquilini dietro pesanti occhiali neri, accessorio dei competenti. Stretta di mano, cartellina con il logo, grattatina in testa a nostra figlia, sorriso franco. E con lei entriamo nello showroom, il luogo dove tutte le vite che potremmo voler vivere sono esibite, già immaginate per noi e casualmente in vendita. Vedo mio marito che sorride incuriosito, gli vorrei chiedere da cosa, affianco il mio sguardo al suo, da lontano, e noto che si sta guardando in un grande specchio dalle linee dure, maschili. L’ambiente è ovattato, i toni sono neutri, ma registro ovunque tratti pesanti, dettagli in eccesso. È una modernità di compromesso, che non resiste alla tentazione dell’ornamento. Da dietro gli occhiali, Loredana – così si chiama, uno di quei nomi in due atti che sanno di decisione, e hanno una sensualità un po’ fanée – sembra notare un battito, qualcosa nella mia espressione che le impone di cambiare strategia. Lo fa apertamente.
⁃ Non le piace, vero?
Sono stupita. Circondata da pezzi d’arredo dal retrogusto funerario – librerie per chi non ha libri, tavoli per chi non ha amici, sedie con un che di respingente, da visita breve – non escludo che uno di quei divani enormi possa, con le dovute modifiche, accogliere noi e i nostri abbracci. In fondo lo slogan del negozio ‘- “La qualità è un destino” – promette strutture solide e anzi, pensandoci bene, il problema di quei mobili ovoidali e neri, solcati da maniglie dalle forme astruse (sdrammatizzano, spiega Loredana, come se ogni cassettiera avesse una vocazione tragica dalla quale solo un pomello satinato può salvarla) è proprio che dureranno per sempre. È impegnativo legarsi a qualcosa di così duraturo. Per questo sono oggetti di gusto indeciso, concludo, per fluttuare nel tempo con l’appiglio di una maniglia dalla texture ad alveare, sospesi tra presente e passato.
⁃ Sul design si può lavorare, mi interessa la qualità.
⁃ Lei è una creativa.
Suona come un’accusa, neanche troppo velata. Mi guardo intorno, una giovane coppia è assorta ad ascoltare le spiegazioni di un clone di Loredana, sono seduti su un divano color senape di un materiale arricciato come l’astrakan. Che vogliano sdrammatizzare anche loro una casa di cemento e un salotto angusto? Si porteranno l’astrakan senape nell’eternità, amen.
⁃ Che ne dici?
Mio marito mi sorride allungato su un tre posti di velluto oltremare dalle linee semplici, pulite. Sembra quasi che stia su un materassino tra le onde, vedo il suo corpo ben sostenuto dal materiale dell’imbottitura e l’immortalità, in un divano, mi appare una cosa buona, mi immagino nostra figlia da grande che lo eredita e lo fa viaggiare da una casa all’altra, ritappezzato di colori diversi, sgargianti o scuri a seconda della moda del futuro. Faccio un passo indietro, il mio volto evidentemente si distende perché Loredana mi si avvicina in punta di piedi, senza dire niente.
⁃ Non male, belle proporzioni.
⁃ L’Amadeus, il nostro secondo modello più venduto.
⁃ Il primo qual è?
⁃ Quello non fa per lei.
Mi sorride placida sotto il trucco quasi professionale tanto è ben steso. Mi sorprende quanto sia simile a quello delle altre ragazze e sospetto una regia centrale: toni neutri, lucidalabbra a specchio, ciglia lunghissime, zigomi segnati dal fard, lunga riga di eyeliner, niente di roseo, niente di giovanile, niente di ingenuo. Valorizzate e spente al tempo stesso.
⁃ Come fa a esserne sicura?
Arriva una collega con dei minuscoli cupcake dai colori pastello. Sdrammatizzano anche loro questo momento in cui viene fatta una diagnosi sui miei gusti. Aspetto con una certa ansia, come fosse un verdetto su di me. Mia figlia ne ingolla nell’assoluta convinzione che io non l’abbia vista e Loredana mi invita a seguirla verso il Corrado, un divano di un tono carta da zucchero pallido con delle linee classiche, braccioli bombati e l’aria rassicurante. Mi piace, mi avvicino interessata.
⁃ Come vede non fa per lei.
⁃ Non sono del tutto d’accordo.
⁃ Questo lo vendiamo a gente più anziana.
⁃ Quelli a cui si è rotto il divano?
⁃ Quelli che hanno fatto l’errore di non comprarlo da noi.
Mi scappa una risata.
⁃ Posso sedermi?
Non risponde. Mi volto verso di lei per vedere se ci sia un cenno degli occhi, qualcosa che mi autorizzi a dirigermi verso il Corrado, a provare quella seduta che sento già mia. Vedo che sta guardando mio marito e mia figlia che giocano sull’Amadeus, sembrano felici. Anche Amadeus mi piace, ma su Corrado non avrei dubbi, non ho paura del classico, mai avuta. Vedo Loredana che va verso di loro con un sorriso larghissimo, dietro di lei compare la sua ancella con un caffè e un altro cupcake. Niente, quello è il divano giusto. Vedendoli distratti, torno verso il Corrado e me lo guardo ancora un po’. Gli cerco un difetto, non lo trovo. Il tessuto è bello, certo lo vorrei di un altro colore, magari anche a fiori. Appena mi ci siedo, compare Loredana. Strano, non avevo sentito il rumore dei suoi tacchi. La sua ombra incombe sul rivestimento, che per un istante mi appare a righe.
⁃ Non è male affatto. Quanto costa?
⁃ Ne parliamo dopo.
⁃ Comunque questo mi piace.
Loredana non reagisce, mia figlia mi corre incontro con le guance arrossate come quando deve mostrarmi qualcosa. Mi tira per il braccio, emozionata, e mi trascina via. Loredana ci segue soddisfatta e con un tono trillante annuncia:
⁃ Certo che la tua mamma è proprio originale!
Ci ritroviamo davanti all’altro divano, l’Amadeus, su cui mio marito continua a fluttuare felice, e a vederlo nuovamente lo trovo quasi bello. Ne apprezzo la linearità, le proporzioni, lo immagino con altri tessuti: sono pronta al compromesso. Mi allontano per avere un’immagine dell’insieme, quando a un certo punto mi accorgo di qualcosa che scintilla: i piedini sono di metallo, sottili come lame, affilate o minacciose. Nel migliore dei casi Amadeus, immagino, potrebbe mettersi a pattinare sul ghiaccio e allora quel dettaglio riuscirebbe forse simpatico. E invece risulta solo ostile, il solito occhieggiare a una modernità che, chissà perché, si immagina spigolosa. E se il futuro fosse tutto un arabesco?
⁃ I piedini si possono cambiare, vero?
⁃ Sono il nostro dettaglio più popolare, c’è chi compra Amadeus apposta.
⁃ Non li trovo adatti all’insieme.
⁃ È proprio buffa la tua mamma!
Mia figlia guarda Loredana con fierezza, abbiamo fatto grandi sforzi per spiegarle che l’originalità è un bene e che il conformismo dei bambini è una cosa da non prendere sempre sul serio.
⁃ Vero!
Mio marito si solleva dalla sua seduta e, senza alzarsi, china la testa per capire che cosa c’entri la mia presunta originalità davanti ai piedini del divano.
⁃ Euh.
Nel nostro lessico, quel verso indica l’orrore in tutta la sua indicibilità.
⁃ Vero?
⁃ Che aggressivi.
Loredana ci guarda come io guardo mia figlia quando esagera con i biscotti. Riprovazione, della variante maternalista.
⁃ In teoria si possono cambiare. Non sarebbe la prima richiesta stravagante.
Mi chiedo se parli di me o di una particolare categoria di clienti. Me li immagino chiusi nella credenza postmoderna con i pomelli ovoidali.
⁃ Andiamo a vedere i tessuti. Possiamo?
⁃ Certamente. Faccio portare un succo di frutta, un caffè, qualcosa da bere?
⁃ Molto gentile, ma preferisco concentrarmi sui campionari.
Presto ci troviamo immersi in una pila di stoffe spesse come sipari, piegate in tre e trattenute da fascette di cartone patinato con nomi di marche che invariabilmente parlano di Inghilterra, come se i tessuti crescessero solo lì. Scarto quelli troppo lucidi, evito quelli senili, io e mio marito sappiamo quali colori evitare – sono quelli che ci piacciono troppo e che ormai in casa spuntano ovunque – e cerchiamo di spingerci un poco più in là con l’immaginazione, a pensare a colori forti, soluzioni nuove. Su Corrado, poi, starebbero benissimo.
⁃ Vediamo questa mamma creativa che dice!
⁃ Ipotesi velluto rosso. Idea di prezzo?
⁃ Ah ah, mamma vuole correre!
Io sui precipizi dialettici non so mai come reagire. Quel crinale, quel momento impercettibile in cui si potrebbe iniziare a litigare, volendo, mi trova sempre impreparata. Mi scappa un’occhiata sorpresa, magari riesco a far capire a Loredana che sta uscendo dal seminato. Mi ignora. I nostri codici sono evidentemente diversi. O forse l’hanno assunta perché è impermeabile ai codici.
⁃ Beh, siamo qui da due ore, come corsa non mi pare granché.
Continua a ignorarmi e tira fuori un altro campionario di tessuti.
⁃ Questo è il velluto più bello. Se vedi questo, l’altro non ti piace più.
⁃ E allora confrontiamoli nella pratica: differenza di prezzo?
⁃ Ancora con questo prezzo! Ci arriviamo, ci arriviamo, ma prima dobbiamo trovare il divano perfetto.
E fa l’occhiolino a mia figlia, che con mia enorme soddisfazione la guarda impassibile.
Mio marito intanto tocca il velluto nuovo, il velluto dalle retrovie, il velluto di rottura, e conviene che è molto bello.
⁃ Meglio dell’altro, effettivamente.
⁃ Benissimo, ci siamo, finalmente possiamo dare alla mamma tutte le informazioni che vuole! La vedo impaziente!
Io taccio per non reagire.
⁃ Questo mese c’è la promozione sui pouf.
⁃ Interessante.
La voce di mio marito mi arriva come l’annuncio di un ritardo di due ore sul tabellone delle partenze alla stazione dei treni.
⁃ Sì molto. Lo volete dello stesso colore, il pouf, o pensiamo a una bella fantasia?
⁃ Non so se abbiamo spazio per un pouf.
⁃ Mah, in realtà sì, sarebbe bello, ci si possono sedere gli ospiti.
⁃ Ok, vediamo il pouf allora. Ipotizziamo che sia dello stesso tessuto.
⁃ Velluto prestige?
⁃ Quello, sì, benissimo.
Loredana tira fuori una calcolatrice, grande e un po’ retrò, strategica per mostrare al cliente quanti zeri vengono messi, che operazioni si fanno. Agita le dita lunghe e bianche, mani fredde e virginali. Ha un brillantino sullo smalto, vezzo dei senza cuore, penso.
⁃ Allora, siete fortunati. È il primo sabato del mese.
⁃ Il mese dei pouf.
⁃ Come, scusa?
⁃ Niente, si figuri.
Mi appiglio alla formalità per tenere le distanze. Potrei passare al vossignoria da un momento all’altro.
⁃ E quindi avete diritto a uno sconto del 25% se ordinate entro stasera.
⁃ Wow.
Mio marito continua ad accarezzare il campionario di velluti come se fosse una cesta di gattini. Ha lo sguardo perso, sembra narcotizzato.
Le dita di Loredana riprendono a ticchettare sulla calcolatrice, inserisce raffiche di informazioni e numeri. Gira verso di noi l’apparecchio. La cifra è vertiginosa.
⁃ Il pouf è incluso, senza sono 200 euro in meno.
Sono tentata di scappare con il pouf a 200 euro e lasciarle il costosissimo Corrado avvolto nel velluto rosso.
⁃ Amadeus?
Riparte il mulinello di cifre, mostra lo schermo, sbianco.
⁃ Ah però.
⁃ Allora, ci siamo?
Loredana è radiosa, sembra una sposa all’altare.
⁃ Pensieri? Impressioni? La tua mamma è silenziosa.
Mia figlia mi guarda e cerca di interpretarmi. Non mi sfugge il tentativo di Loredana di trasformare questo divano in un gigantesco peluche per lei, un regalo, qualcosa su cui piantare un capriccio.
Mi faccio coraggio e calo le carte, con semplicità.
⁃ Il prezzo mi pare molto alto.
⁃ Per un divano splendido? Mi sorprendi.
⁃ Senta, è un po’ che giro per divani. È decisamente caro.
⁃ E dimmi, cosa hai visto?
Mi giro verso mio marito come a chiedere conferma dell’impertinenza del tono. Lui mi osserva, non dice nulla, mi sembra di scorgere un’alzata di spalle.
⁃ Sono andata in tanti negozi del centro, anche di lusso, e Corrado costa tre volte più di quello più caro.
Loredana incrocia le braccia e mi guarda con quella che mi sembra autentica compassione. Malriposta, le vorrei dire, ma poi penso che è una venditrice giovanissima di mobili brutti e mi trattengo dall’essere antipatica. In fondo è tutto sbagliato – il prezzo e la mercanzia – e non abbiamo che da andarcene. Un’occhiata a mio marito che guarda il velluto controluce con aria assente ridimensiona il mio entusiasmo: potrebbe non essere facile uscire di qui.
⁃ Certo, divani alla moda, durano qualche anno e poi voilà, si cambiano. Mamma è una consumista!
Incasso senza dire niente. Gomitata a mio marito, che si risveglia.
⁃ Allora lo prendiamo?
⁃ A me pare carissimo, per quello che è. Possiamo pensarci?
⁃ Eh, ma è questo il primo sabato del mese. Poi l’offerta scade.
⁃ Allora ci pensiamo fino al primo sabato del mese prossimo!
⁃ No.
⁃ Scusi?
⁃ No, mi dispiace, sono quasi tre ore che sto cercando di accontentarvi. Credo che il nostro sforzo meriti un po’ di attenzione da parte vostra.
Incredula, sono su un nuovo crinale. Litigo? Non litigo? Mi giro verso mio marito, spero che dica qualcosa. Da quando ha poggiato il campionario di velluti è tornato più lucido.
⁃ Ha tutta la nostra attenzione, ma vorremmo parlarne tra noi.
La sua voce è calma, mi tranquillizza subito.
⁃ Benissimo. Intanto tu vieni con me, ti faccio vedere una cosa.
Loredana allunga la mano verso mia figlia mentre si alza. La bambina fa per seguirla, ma dopo qualche passo ci ripensa, si gira, ci guarda.
⁃ Stai serena, mica ti rapisco. Lasciamo mamma e papà a chiarirsi finalmente le idee.
⁃ Non c’è bisogno, lei sceglie con noi. Corrado sarebbe anche il suo, di divano.
⁃ Mamma ha bisogno di te, da sola non sa scegliere!
Lascia andare la bambina e va in ufficio, dietro la vetrata. Si dirige a passo sicuro verso uno scaffale, da cui estrae un faldone. Passa una mano sulla spalla della sua collega con i capelli rossi e le dice qualcosa. Ridono, sembrano complici. Abbiamo appena il tempo di dirci che il divano è assurdamente caro e che per quel prezzo troviamo di meglio quando torna, fresca come al rientro dalle vacanze.
⁃ Allora?
⁃ Guardi, Loredana, lei è stata molto gentile ma per una spesa del genere vogliamo pensarci. La richiamiamo nei prossimi giorni.
⁃ No.
⁃ Come no?
⁃ Non c’è bisogno.
⁃ Non capisco.
⁃ Ho chiesto alla mia superiore. Noi vogliamo che siate felici, quindi posso farvi anche uno sconto Primavera Plus, che oltre a un abat-jour di design della nostra serie Luminol in omaggio comporta un ulteriore 15 percento sul prezzo che vi ho indicato.
Riacciuffa la calcolatrice e inserisce più numeri del necessario. La rigira fiera. Ovviamente la cifra finale è più bassa, ma Corrado rimane comunque carissimo. Mi sto spazientendo.
⁃ Guardi, apprezziamo davvero, ma siamo sempre dell’idea di pensarci.
Da come arriva la sua voce, direi che mio marito è seccato quanto me.
⁃ Vi ho portato un’altra cosa.
⁃ Il Luminol?
⁃ Scusa? No, la lampada ti verrà consegnata insieme al resto. Ho portato il modulo. Indirizzo?
⁃ Perché vuole l’indirizzo, mi scusi?
⁃ E dove lo consegno, Corrado?
⁃ Non l’abbiamo mica comprato. Mi perdoni, questa conversazione sta diventando surreale.
⁃ Hai proprio una mamma tutta speciale!
Gli occhi sgranati di Loredana hanno l’effetto immediato di terrorizzare mia figlia, che mi stringe la mano forte.
⁃ Mamma, andiamo?
⁃ Ora andiamo, tesoro.
⁃ Qui per voi c’è un’altra cosa interessante. Una statistica.
La giovane donna apre il faldone che ha portato con sé dall’ufficio e ci mostra un foglio:
⁃ Guarda, qui c’è scritto che otto clienti su dieci, quando varcano quella porta, non tornano più.
⁃ Dove non tornano più?
Non so perché, mi sono fatta l’idea che non tornino più a casa. Immagino clienti del divanificio che vagano per la campagna, abbagliati dai fari delle auto nella notte mentre cercano la strada per la città. Le statistiche dicono che non la ritrovano mai.
⁃ Che buffa tua mamma! Non tornano più qui da noi. Sono persi, andati, tempo sprecato per noi. Per questo non vi posso proprio lasciare andare.
La voce è sempre quella di una ragazza diligente che cerca di suonare incisiva calcando ogni sillaba. Mi armo di un sorriso e di un tono fermo.
⁃ Cosa vuol dire che non ci può lasciare andare?
⁃ Semplice, sono costretta a tenervi qui fino a quando non troviamo una soluzione.
⁃ Fino a quando non compriamo il divano.
⁃ Fino a quando non otteniamo tutti quello che vogliamo. Io la mia vendita, e voi Corrado.
Guardo mio marito, mia figlia guarda me, guardiamo tutti la porta.
⁃ Ma noi non usciremo di qui con un divano stasera, è escluso.
⁃ Non sia pessimista, signore. Ora troviamo un accordo…
Loredana è interrotta dal rumore della porta d’ingresso, entra una famigliola. Forse è solo una mia impressione, ma passano alla chetichella e ci guardano con pietà. Hanno tutti e tre un cupcake in bocca.
⁃ Mi scusi, Loredana, temo di essermi persa qualcosa: noi non compriamo un divano stasera. Ora torniamo a casa e facciamo le nostre valutazioni.
Mio marito annuisce. Mia figlia pure. Siamo uniti, una squadra.
Loredana ci guarda, scuote la testa.
⁃ Non credo proprio.
A quel punto faccio per alzarmi, ma mi ritrovo subito la sua mano sulla mia. Mi sembra più fredda del normale.
⁃ Che mamma ansiosa che hai!
Mio marito inizia a fremere.
⁃ Basta con questa storia della mamma! Che modi sono?
Lo guardo stupita, fiera. Si alza anche lui e anche la piccola, che a questo punto si sente di aggiungere:
⁃ La mia mamma va bene così com’è.
Loredana non batte ciglio dietro gli occhiali pulitissimi.
⁃ Ma certo che la tua mamma va bene così. Ora però bisogna trovare una soluzione.
⁃ Guardi, noi stiamo andando via.
⁃ Ma io non posso lasciarvi andare.
⁃ La smetta con questa storia.
⁃ Vogliamo vedere un altro tessuto?
⁃ No, basta e avanza quello che abbiamo visto. Andiamo via.
⁃ Va bene, un modo ci sarebbe.
⁃ Per cosa?
⁃ Per farvi andare via.
⁃ Il divano non lo compriamo, l’abbiamo già detto.
⁃ Peggio per voi.
⁃ E allora? Ce ne andiamo.
⁃ Piano.
⁃ Mi dica che cosa devo fare!
⁃ Ora tu mi guardi negli occhi e mi dici che il Corrado è brutto.
⁃ Che c’entra che è brutto.
⁃ A te il Corrado non piace.
⁃ Io trovo che Corrado sia molto caro.
⁃ Se uno ama una cosa fa in modo di comprarla. Stai mentendo.
Ci guardiamo, guardiamo il velluto prestige steso sul tavolo, ci alziamo.
⁃ Se è quello che vuole, Corrado è brutto.
⁃ Di più: niente di quello che c’è in questo negozio ti piace.
⁃ Ma è necessario?
⁃ La verità è sempre necessaria.
⁃ Ma non è la verità!
⁃ Mamma è proprio strana…
⁃ Basta!
⁃ Ascolta bambina, quando entri in un negozio e non ti piace, esci subito e non inventarti bugie.
⁃ Corrado è brutto, tutto il negozio è brutto.
⁃ Stai mentendo.
⁃ Sì, ma almeno siamo liberi.
Mio marito è già in piedi, e anche la bambina, incollata a lui. Loredana continua a sorriderci, e da dietro le sue lenti troppo pulite sento arrivare lampi freddi di commiserazione.
Si è fatto tardi, è iniziato uno di quei tramonti spicci in cui il sole sbiadisce e poi si polverizza, si sentono le saracinesche dei negozi che tagliano l’aria, resta solo l’illuminazione artificiale di lampadine attaccate ai fili nudi come cappi colorati. Ci prendiamo la mano, salutiamo, camminiamo veloci, acceleriamo, quasi corriamo, non ci diciamo niente. L’ultima cosa che ricordo è l’inciampo su un pouf di astrakan color salmone mentre cerco di raggiungere la porta a vetri che mio marito e mia figlia stanno tenendo aperta per me. Comodo il pouf, ho tempo di pensare prima che Loredana, dietro di me, azioni con un telecomando la serranda, costringendomi a uno scatto, a precipitarmi verso la porta, a sbatterci contro, a piegarmi sulle ginocchia, a rannicchiarmi e poi a sdraiarmi per strisciare via dal negozio tirata dalla presa salda di mio marito. “Fai presto, mamma!”, urla mia figlia. Siamo finalmente fuori, sui lastroni di cemento da cui spuntano fughe di erba nera. Guardo indietro, nella penombra intravedo una famiglia, gli ultimi a entrare, quelli del cupcake. Sono fermi davanti alla porta chiusa, si tengono per mano. Ci fanno un cenno triste, come un saluto. Il padre regge un campionario di tessuti con rigogliosi motivi vegetali. Intorno a noi, gerani esangui e le prime gocce della pioggia indecisa di una Primavera Plus senza fiato.