Tra le succulente scoperte che promettevano le mille pagine della biografia di Roth messa insieme da Blake Bailey in un decennio febbrile c’è pure la rivelazione – smezzata con ineffabile suspence fra pagina novantacinque e novantasei – che al terzo anno di università Philip si sentiva «estremamente attratto dalle bionde carine e snelle dotate di cervello». 

Lo so, ci vuole uno sforzo che trascende la media tolleranza dell’appassionato di biografie per non rispondere subito: e grazie al cazzo. Tuttavia, la faccenda apre una serie di questioni che sono variamente avvincenti, in gran parte perché irrilevanti, del tipo: le biografie hanno un valore letterario? E le biografie di scrittori? Esistono davvero gli appassionati di biografie? E dove si nascondono, che razza di vita conducono? 

Bailey, come in una mostruosa mise en abîme, è stato accusato di molestie a ridosso dell’uscita del libro negli Usa, e c’è chi ha evocato la possibilità che Roth lo abbia scelto come biografo per celeste corrispondenza di misogini sensi

Sappiamo che alla biografia è consustanziale un certo tasso d’ingrandimento (un classico anche espressivo: mettere una vita sotto la lente), nel caso di Philip Roth dovremmo parlare piuttosto di «gigantografia». La frase sulle bionde carine e snelle è estrapolazione di Bailey da una lettera scritta in tarda età alla ragazza del college, Ann Sides, alla cui figura Roth si è poi ispirato per il romanzo Indignazione. Ciò che fa Bailey è metterci in contatto con uno scrittore che fruga nella stupidità della vita pedinando il materiale della sua narrativa. E infatti segue il confronto tra due versioni di un medesimo ricordo, o meglio due ricordi divergenti del medesimo pompino (parliamo pur sempre di Roth, dove altro pescare?):

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