Il mese scorso ho scritto ad Alessandro Baricco. La mail l’ho trovata tra gli iscritti alla newsletter di Mondo Convenienza – dove ho lavorato per un periodo come collaudatore –, quindi non state a chiedermela che tanto non ve la do. Gli ho chiesto di essere ammesso fuori quota alla Scuola Holden, per vedere se riesco a togliermi di dosso questo senso di inadeguatezza letteraria che mi deriva dall’essere cresciuto in una città a forte vocazione industriale dove chiunque abbia una minima propensione per il lato umanistico del mondo è bollato per oscura proprietà transitiva come omosessuale e pertanto, come tutti gli omosessuali della città, costretto a camminare nudo per la via principale del centro mentre le signore dabbene mogli di capitani d’industria lo bombardano con le tazzine del caffè. Per via di una scheggia ho ancora oggi una cicatrice sullo zigomo sinistro. Sandro oggi mi ha risposto: “presentati domani per il test di amisisone”. Grazie, penso, e intanto mi commuovo, grazie Alessandro, perché so che così finalmente riuscirò a vincere le mie inibizioni e scrivere il grande capolavoro utile a zittire mia nonna che continua a chiamarmi Lilli Gruber e che quando ci incontriamo lascia cadere dalla borsetta per finto sbaglio un opuscolo sull’Aids – come se ci fossi finito io, un mese fa, al pronto soccorso con un condiloma.

Al bar di fronte alla Holden nessuno parla, ma è chiaro che tutti i clienti siano aspiranti allievi. Tipo quel giovane che ha un doppiopetto con alamari in corno, un borsalino con una penna d’oca infilata nel nastro e una Moleskine dietro l’orecchio. Oppure quella ragazza coi capelli raccolti ma non tutti facciamo sette no, anzi otto fa più Jane Austen, l’aria un po’ triste e gentile, sulle gambe una borsetta a forma di testa di Hemingway nel senso che si vede proprio la sezione del collo con tanto di giugulare e porzione di trachea. Io mi sento un po’ a disagio, perché il mio aspetto non comunica niente di artistico. Ancora una volta il mio senso di non valore letterario mi sta avviluppando, così arraffo un tovagliolino di quelli semitrasparenti e ci scrivo sopra qualche appunto con espressione severa e ispirata, poi però mi scordo di averlo fatto e mi ci pulisco la bocca, l’inchiostro blu si confonde con la marmellata ai frutti di bosco del cornetto integrale e dai miei scarabocchi emerge per un assurdo impasto combinatorio-oracolare la frase “non sai scrivere, vieni a lavorare in ditta finocc”, incompiuta ma eloquente. Sto male, ma mi distraggo subito dal dolore perché mi arriva un messaggino sul cellulare. Sembra che mio fratello, il secondogenito e preferito dei miei genitori, ieri notte abbia mangiato un’altra pasticca e ora sia disperso. La notizia mi scuote. Mi concentro di nuovo in previsione della prova, perché è tempo di fare vedere a tutti che la cultura ti salva la vita.

Seduto al mio banco in attesa di ricevere la traccia della prova ripasso tutti i punti chiave dei manuali di scrittura creativa che ho arato nel corso di questi anni. Intorno a me tutti gli altri aspiranti, davanti, a una cattedra, tre membri della commissione, giusto di fronte a una gigantografia di Baricco con sullo sfondo una bandiera dell’Europa e una dell’Italia. Ci invitano ad accendere i nostri computer, la traccia ci arriverà per mail tra qualche istante. “Descrivi un paesaggio della tua vita come se fosse lo scenario di un grande romanzo [max 1000 battute spazi inclusi]”. Facilissimo, si va sull’olio. Apro l’editor di testo e faccio per impostare l’interlinea quando vedo che mi inizia ad arrivare una sequela di notifiche. Sono mail di mio fratello, sempre disperso, che invece di contattare i soccorsi che è sei ore che lo cercano scrive alla sua ex ragazza, ma invia a me. Mi concentro. Focalizzo il paesaggio, metto mano al carniere dei miei vocaboli migliori, e inizio a picchiare sui tasti. Proseguo incessante, ma altrettanto fa mio fratello, che non vuole desistere. Nella prima ora invia ventisette mail, sul finire della seconda siamo sulla cinquantina. Tutte non più lunghe di un rigo, tutte per la sua ex. Io sono andato avanti con il mio pezzo, anche se non ho potuto fare a meno di leggere i deliri di quel tossico, e così è finita che mi sono distratto e non ho più tempo per rileggere con attenzione. Scorro velocemente quello che ho scritto: terrore. Per una sorta di ecolalia, o per qualche guasto informatico – non ne ho idea –, il mio testo è un ibrido tra la mia prosa manzoniana e gli sproloqui di mio fratello. Un accrocco impresentabile, sconclusionato e confuso:

Le verdi colline intorno al mio paese Maura perché non rispondi piene di filari d’uva Maura per dio rispondi al cellulare da cui deriva un vino un po’ asprognolo Maura se sei con Davide te lo dico prendo il furgone vengo lì e vi metto sotto tutti e due tanto che si dice che il nostro carattere sia così ruvido perché beviamo questo vino no Maura scherzavo ti prego ho finito il mese scorso con le firme in questura un fiume limpido taglia a mezzo il nostro paese, Maura mi sono già tolto la cintura se non mi rispondi ti giuro mi appendo a questo ulivo, e fa sì che gli abitanti si dividano tra riva destra Maura ti prego prometto che non la chiamo più e che smetto coi cavalli e riva sinistra, e tra di noi, senza che nessuno lo sappia, per questo chiamiamo la nostra cittadina grande baldracca Tiziana sei una grande gigantesca baldracca se non mi rispondi io veramente all’ulivo mi ci appendo ma prima piccola Parigi vengo lì e vi tronco te e quel pezzente di Davide

Guardo l’orologio accanto alla gigantografia di Baricco. Manca un minuto, impossibile riscriverlo. Dio mio, l’occasione di una vita sprecata per quell’idiota. Non posso consegnare, bisogna che cancelli, mi alzi e vada via. Troppo tardi: il tempo scade, l’editor di testo si blocca. Sprofondo nella desolazione. Tutti i miei compagni sorridono e parlano di Carver. Io piango in silenzio e butto giù due righe per l’avvocato, è l’ora di finirla con questa storia.

Passa un giorno e mi arriva una mail dalla Holden. Elaborato apprezzabile, ma troppo politico. Game over, sarà per l’anno prossimo. A mio fratello è andata, se si può, anche peggio: non era una pasticca, ma un colpo apoplettico. Lo hanno trovato stamani, mortoriverso in un canale. Tanto meglio, si scalano le gerarchie. Ora il preferito è il cane.