«Tutte le immagini scompariranno», comincia così Gli anni di Annie Ernaux (L’orma editore 2015, trad. di L. Flabbi). O forse no. Almeno se alcune di esse sono state filmate da una cinepresa, uno degli oggetti magici e rituali che hanno segnato la vita familiare del secolo scorso, ben prima dei cellulari con videocamera integrata di oggi. Les années super 8 – il film documentario realizzato da Annie Ernaux e suo figlio minore David Ernaux-Briot, ora nelle sale cinematografiche europee – è qui a dichiararlo in esplicito rimando al libro. 

Scene di vita in una Francia di provincia anni Settanta: le feste di compleanno tutte sorrisi, torte, coroncine in cartapesta; gli arredi domestici; le prime sciate dei bambini; i panorami montani e i villaggi di campagna delle gite estive. E poi i viaggi, in aereo, che spalancano gli orizzonti dell’estero: il Cile ancora presieduto da Allende, di cui si ha pudore a fissare e filmare la povertà; oppure l’Albania filomaoista di Hoxha, conosciuta nei limiti di un pezzo di spiaggia recintato davanti all’hotel destinato agli “occidentali”.

Sequenze di storie individuali in cui capita di intercettare i segni della Storia; di banalità; di una quotidianità dell’esistenza di cui poi, spesso, ci si ricorda poco. È di questo che si compone il documentario, costruito con gli home movies degli Ernaux, i filmini girati quasi solo dal capofamiglia Philippe nel decennio 1972-1981 con una Bell & Howell, e qui montati in successione cronologica, anno dopo anno.

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