Devi essere stata una donna affascinante da provare inutilmente a conoscere.

Troppo a lungo hai creduto di avere una di quelle facce, somigliavi a una sacerdotessa provocante o a uno zio reincarnato in Helen Mirren, quando la verità era che tu saresti stata agganciata da una vasta gamma di singoli individui con tanta voglia di parlare e zero senso dei confini, che non imparano mai, non migliorano mai, non prendono mai le medicine e, cosa piuttosto cruciale, qui, non portano mai avanti i loro stessi progetti di auto-eliminazione.

La prima volta che hai alzato il telefono eri una ragazzina, non è una scusa ma lo eri, hai fatto la spia sul conto di uno che aveva manifestato l’intenzione di provarci di nuovo, hai chiamato la polizia da una cabina del telefono a gettoni nel bel mezzo di un parco pubblico, tra le due e le tre di una domenica mattina. (Eri alterata al momento, quindi, renitente a dare nome e cognome, lo stesso, i ragazzini non fanno la spia quando giocano sul serio con qualcuno; teniamolo a mente.) Il tipo in questione ti si era appiccicato perché era un uomo ridotto a brandelli nello scivoloso mondo del fumetto indipendente e il suo più grande, profondo diritto era il diritto a tormentare gli altri. Su tutti e due i polsi aveva cicatrici orizzontali spesse come una lama da cucina che in te non stimolavano niente, nessuna sensazione nessun sentimento, non l’hai mai baciato non gli hai mai permesso di credere che forse, in niente, eppure lui con te insisteva. Stazionava. Tu non facevi promesse. (Il cinema ti aveva insegnato bene: se vuoi morire, tagli in verticale.) Come se tu ti saresti mai presa cura di uno che aveva già abbandonato l’università e che metteva tutto a verbale nel corso di interminabili telefonate paralizzanti giusto per dirti che aveva appena passato la notte nella vasca da bagno con una radiolina portatile sospesa in mano ad aspettare e vedere se l’avrebbe lasciata cadere in acqua. Lui ti diceva queste cose perché lui voleva che tu ti iniettassi in vena la sua pazzia e cominciassi ad amarlo, amore vero, oppure, che tu ti sbilanciassi e decidessi di nuotare nel vuoto fino alla sua finestra in una camicia di tela bianca, togliere il coltello dall’ultima ferita e dirgli che alla fine si sarebbe sistemato tutto e che tu lo amavi, ma tu questo non l’avresti mai detto. Eri sveglia, di pancia, lo sapevi che era tutta quanta un’esca – una trappola per prendersi la ragazza.

Allora hai fatto la spia sul conto del tuo amico e la polizia l’ha chiamato sul telefono fisso, a casa della madre, hanno cercato di distrarlo e di tenerlo in linea per valutare, ehi Manuel come va allora come stai, e più tardi la stessa notte lui è arrivato dove stavi tu, livido, furioso, con una gran voglia di litigare al parco, come ti sei permessa di chiamarmi la polizia, a me!, tutta una sceneggiata da casa occupata con al centro lui che ti guardava ballare con la stessa tonalità di odio freddo laser che avresti incrociato di nuovo anni dopo: è quando un uomo ti vuole ammazzare e non comincia a calci e pugni, no, un uomo comincia con lo sguardo dritto immobile e il corpo nella posizione della mantide religiosa – se lui prega abbastanza forte, tu verrai annullata dalla mano di Dio che ti piomba addosso dal cielo.

Sei andata via a un certo punto, sei riuscita ad andare a casa, c’era un amico normale ti ci avrà portato lui, in cucina ti sei versata un flacone di ansiolitici rubati a qualcuno – ricordi il muro liquido davanti a te con la voce di un altro che sta dicendo, la pace chimica. A un certo punto sarebbe finita.

Era cominciata persino prima, però questo tu lo scordi sempre. Anni quindici, sia tu sia lui / lui aveva buttato giù tutte le medicine dell’armadietto perché tu avevi baciato un altro / l’hai saputo perché un amichetto di lui ha telefonato a te il pomeriggio del giorno dopo / chi lo sa se lui aveva cambiato idea strada facendo o se l’avevano trovato gli altri in tempo / tu non avevi niente da dire: hai rimosso / che frase avrà usato l’amichetto, ha tentato il suicidio per te? Ha fatto una cosa che non doveva fare, bimba bella, e l’ha fatta per te?

Minacce di suicidio ti sono state fatte tutto il tempo per il resto della tua prima vita – tua, loro, altrui, ovunque. Un altro, un vecchio amico dimenticato, in diretta da uno schermo in video-chiamata, la voce che arrivava in stop motion, se non mi entra questo lavoro io mi suicido. E ti guardava attraverso, come se quell’uomo proprio doveva mettere agli atti il suo progetto, dargli corda e fiato per esistere. Hai tagliato i ponti e una volta ogni luna rossa tu te lo chiedi, se alla fine quello ha levato il disturbo. Te lo chiedi ma non controlli mai. Controllare come va giusto per sentire come va non rimane mai un sentire come va, è il primo passo dell’essere riportata all’inizio di tutto quanto il circuito – il trenino ding ding ding torna ai blocchi di partenza dell’incubo, go – e tu con questa roba hai chiuso.

E poi gli sconosciuti! Gli estranei! Perfetti estranei ti cercavano su Facebook su Twitter su Instagram e ti mandavano lettere di morte. Gli sconosciuti! Gli sconosciuti con gli inventari dettagliati di ogni singolo passo falso che li avesse condotti alla presente sventura. Il divorzio di qua, il negozio sbaraccato di là. Mi ammazzo! Mi ammazzo! Uomini, tutti uomini, che consideravano morale, opportuno e corretto mandarti fotografie di rasoi e frammenti di vetro pronti a essere inghiottiti alle 23:45 di un sabato sera d’inverno. Con questo genere di soggetti eri diventata più brava: al primo comunicato-stampa in tema suicidio, tu rispondevi, vai al pronto soccorso e sta’ lontano da me altrimenti chiamo le guardie.

Qual è stata la mancanza originale della ragazza di nome Violetta: il rifiuto di scegliere una singola croce da caricarsi in spalla, rispetto a un intero campo pieno zeppo di croci?

Per te, voler morire è cominciato con il fatto che sul piano di realtà oggettivamente sarebbe stato tutto più facile da morta: hai preso il calendario, hai guardato il calendario, hai messo un allarme sul telefono che sarebbe suonato due volte quattordici giorni dopo: la frase, oggi decidere se – e poi ti sei dimenticata che avevi messo l’allarme e quando è suonato il telefono, il sangue ti si è ghiacciato e la lingua ti si è bruciata, ah cristo mi ero dimenticata, è oggi che dovrei decidere se mi tolgo la vita.

E quando è diventato un impulso – una stanza di carne umana che ti chiamava sulla linea diretta – era una questione privata che toccava risolvere a te, come l’hai risolta, però ci hai messo un anno.

E l’hai fermata, alla fine.

E non lo dici mai come sei tornata libera, dici solo che è stato difficile. E ridi come un rapinatore di banche sotto il sole.

La morte non ti fa una proposta allettante da quanto, sembra il 2019, sì, Agosto 2019: la proposta ti ha lanciato contro il muro in una stanza d’albergo di cui stavi pigliando le misure per vedere se ci potevi abitare più di tre settimane, e lì boom, è arrivata, salta dalla finestra salta dalla finestra, eppure tu non sei saltata, al limite hai avuto cura di camminare lenta senza mai ripetere la stessa strada né all’andata né al ritorno, hai tenuto la bocca chiusa perché parlarne dava potere alla cosa (non sono cambiate le regole) e hai riconosciuto l’impulso per quello che era, urgenza materiale, hai cercato correlazioni hai cercato indizi, non ne hai trovato nessuno – è ricominciata dal nulla, mi è proprio arrivata addosso – un paio di mesi dopo hai scoperto che David Berman si era impiccato la stessa settimana, e tu non lo saprai mai quanto era stata la tua mente a cedere terreno durante un arco di tempo con un inizio, un centro e una fine, e quanto invece eri rimasta scoperta per uno haunt, un’infestazione lungo una fermata abituale del giro notturno. Il tuo cervello una casa isolata dove chiunque poteva forzare la serratura tanto per divertirsi.