C’è un’idea formidabile nel rientro sulle scene estive dei CCCP: quella di razzolare finalmente male e di aver guardato per la prima volta verso gli odiati Stati Uniti.
Lo show infatti è monumentale, da Coachella. È un colpo di genio, perché eleva la band fuori dai vinili pieni di righe e dai cd sbrecciati e la catapulta tra i fan ventenni e trentenni, che son parecchi, evitando così effetti “rimpatriata” ferali e confronti tra vecchi punk con reciproco check sull’invecchiamento.
Per questo Giovanni Lindo Ferretti (mani in tasca tutto il tempo, persino gilet contadino in mezzo a un’afa che guai, oggettivamente chic) e Massimo Zamboni (perennemente chino sulla chitarra) sono superstar dentro lo stage impeccabile, disegnato con perfette luci rosse ma anche da grandi eleganti fari da dietro. Hanno non solo strutturato a tavolino il comeback del quarantennale della band ma anche la presenza come headliner a vari festival, per comporre una collana di apparizioni assolute. Strategia impeccabile.
Non siamo nel passato, non siamo nel presente, siamo in un intermezzo che non si sa cos’è, dicono loro.
È vero, perché la presenza scenica (tutt’altro che da settantenni) c’è quasi tutta e il repertorio è quello, lo stesso magnificato in ogni modo dalla bellissima mostra Felicitazioni da loro messa in piedi a Reggio Emilia qualche mese fa. Bellissimo racconto di un pezzo esplorato poco e male della nostra storia.
Dicevo prima – riferendomi alla performance sul palco – “quasi”: perché lo show è puntellato dall’unica presenza femminile (anche questo la dice lunga) della pur fondamentale Annarella – scalcagnata, sbirulina, diciamo – e da un performer onnipresente che sarebbe espulso anche come intrattenitore a una festa di bambini. Se a questo si assommano brani recitati con leggio con tanto di birignao e una bella mezz’ora in più dedicata a nenie e incantesimi di stampo religioso/cattolico che virano nelle estetizzanti invocazioni arabeggianti, ecco qui che la panna montata del Gran Gala di ritorno alla The Cure (anche se attoniti abbiamo assistito non solo a giri Killing Joke e a linee morbide di chitarra Edge/U2) si affloscia un po’ – tranne quando rivitalizzata dagli hit diciamo punk – e non bastano certo due trucchetti para-sovietici a confortare dalla noia (inevitabile dopo il centotrentesimo minuto) sollevata dalla straziante (e straziata, per quanto sorprendentemente intatta) voce di Ferretti.

Alla fine – tira di qui, tira di là – i CCCP sono diventati letteralmente demokristiani.
Avendo visto la tappa genovese,
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