È stato sei mesi in Grecia con un lavoro precario nel Peloponneso: vuole tornare in Australia dove ha vissuto 10 anni, sembra determinato, probabilmente lo farà, ma si capisce che vorrebbe restare a vivere qui, a Roma. Questo paese non si riprende facilmente i giovani espatriati, non riescono a reinserirsi, si ritrovano come in piedi su un autobus dove tutti gli altri sono seduti, magari scomodamente, gli uni sopra gli altri, aggrappati allo spazio che hanno lottato per ottenere, e ora non mollano: nessuno ti guarda, ti prende in considerazione, nemmeno se hai vinto il Nobel ti danno un posto da bidello in una scuola di periferia: tornano e scrivono a queste e a quell’altra istituzione-università-azienda, anzi lo fanno prima di tornare: nessuno, dico nessuno, risponde: hanno studiato si sono qualificati, hanno lavorato altrove per anni, ma poi, come succede quasi a tutti, l’altrove è diventato misteriosamente insopportabile: quello che lì prima attraeva, ora generalmente respinge, il giudizio sul paese di adozione si fa severo, le amicizie locali si rivelano poco salde, esattamente come le vecchie amicizie fatte qui: anche il giudizio su questo paese è severo ma, dicono, qui si sta meglio.
Quelli che se ne erano andati via da Roma e la detestavano, tornano dopo anni e anni, trovandola se possibile peggiorata, più incasinata provinciale sciatta sporca impercorribile, suddivisa in sotto-città più piccole, ciascuna con una propria lingua e usanze, che a causa della fatica degli spostamenti, ormai praticamente non comunicano tra loro e si sono fatte identitarie: tornano nella città delle piccole patrie, molti non si re-inseriscono in quella di appartenenza, abitano altrove, hanno aperto un B&B nell’appartamento grande che gli ha lasciato la madre, la zia, la nonna – a Roma sono le donne a possedere le case – se la cavano discretamente, ti dicono io sto qui ma sono di Magliana, di Torre Spaccata, del Tufello, di Rebibbia, a Rebibbia non c’è molto da fare, dicono Rebibbia, Tormarancia, come se pronunciassero il nome di città autonome e a sé stanti, distinte le une dalle altre, cosa che effettivamente sono. Tornando ritrovano la lingua piena di modi di dire locali, nuove formulazioni, nuovi vezzi, Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti