Stanley lavorava come impiegato in una grande compagnia. Le sue mansioni erano estremamente semplici e ripetitive: seduto tutto il giorno davanti a un computer, non doveva fare altro che premere dei pulsanti su una tastiera seguendo gli ordini che apparivano sullo schermo. Un lavoro che chiunque giudicherebbe deprimente, eppure Stanley era felice. O almeno lo era fino al giorno in cui «accade qualcosa di peculiare»: sullo schermo del computer smettono di apparire gli ordini da eseguire. E non è tutto: guardandosi intorno Stanley scopre che tutti i suoi colleghi sono spariti e l’ufficio è completamente deserto. Privo di qualunque indicazione non gli resta altro che abbandonare la sua scrivania e mettersi ad esplorare il grande edificio dove ha sede la sua azienda per cercare di capire costa stia succedendo.
Questo è l’incipit di The Stanley Parable, videogioco sviluppato da Davey Wraden e pubblicato nel 2013. Come per tanti videogame l’inizio è costituito da un breve filmato, che introduce le premesse narrative prima di permetterci di prendere il controllo del personaggio e iniziare effettivamente a giocare. In questo caso a spiegare l’antefatto è la voce fuori campo di un narratore, il quale non cesserà di parlare una volta che inizieremo a muoverci nei panni di Stanley, ma anzi ci accompagnerà per tutto il gioco. L’elemento particolare è che noi potremmo scegliere di assecondare quel narratore oppure di ribellarci a lui. Ad esempio, pochi minuti dopo aver iniziato la partita ci troveremo davanti a due porte: «Quando Stanley si trovò di fronte a due porte, attraversò quella a sinistra» dirà il narratore, ma noi giocatori saremo liberi di imboccare invece quella a destra, costringendo la voce narrante a modificare la storia per stare dietro alle nostre decisioni. Tutto il gioco girerà intorno a questa nostra possibilità di conformarci alle indicazioni che ci vengono date oppure di ricercare delle scelte alternative.
The Stanley Parable nasce come mod amatoriale (per dirla in maniera sintetica: una sorta di videogioco fatto con i pezzi di un altro videogioco) di Half-life 2, un famoso sparatutto in prima persona dove si combatte contro alieni extra-dimensionali; ma a differenza del suo progenitore non contiene elementi action o avventurosi, non richiede nessuna particolare maestria né presenta sfide da superare per essere portato a termine. Tutto il significato del gioco sta nell’esperienza intellettuale che produce, nelle riflessioni che il giocatore, alle prese con le scelte che può prendere, è indotto a fare. Insomma, The Stanley Parable è ciò che Stefano Gualeni chiama «videogioco filosofico».
Gualeni è l’autore de Il videogioco del mondo, interessante saggio uscito da poco per Timeo. I videogiochi filosofici (ovvero, quei particolari «artefatti digitali interattivi ideati per stimolare domande e riflessioni di carattere filosofico in maniera attiva ed esperienziale»), così come la possibilità stessa di fare filosofia attraverso i videogame, sono appunto tra i temi centrali del libro.
Fondamentalmente l’idea di videogioco filosofico è vicina a quella di arte concettuale. Anche per un’opera d’arte concettuale lo scopo è quello di comunicare un assunto teorico (o di stimolare una particolare riflessione intorno ad esso) attraverso mezzi alternativi rispetto al linguaggio ordinario
Per Gualeni – che è filosofo e game designer oltre che docente universitario, creatore a sua volta di alcuni brevi videogiochi filosofici – i videogame possono fare filosofia, nel senso che Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti