Alzi la mano chi non ha desiderato almeno una volta fare sesso in un cimitero. Tra le luci e il bagliore dei fuochi fatui e il sibilo delle anime sepolte che si risvegliano; con la morte sempre lì, in agguato, cinta da un manto di vesti e ossa che si sgretolano a ogni passo, pronta a coglierti nel momento di estasi più profonda. Il cimitero è uno degli spazi erotici per eccellenza perché, come ci insegna pure Francesco Dellamorte, riesce a coniugare al meglio abiezione e innocenza, inquietudine ed eccitazione, turbamento e desiderio. Il tutto attraversato da una sensazione – forse ingenua, puerile – di pericolo costante: come se avessimo paura che qualcosa si risvegli davvero, o che quella “mano” che sta stimolando i nostri sensi perda la sua consistenza di carne e diventi di cartapesta come le ossa consunte dal tempo dell’aldilà.
Le tombe, quelle più maestose, le più infossate, quelle esteticamente brutte, le foto dei cari, prendere i lumini meno kitsch al negozio del cimitero di paese e cambiare i fiori: ci potrà mai essere dell’eros in una pratica così deprimente? Non esattamente, se ci fermiamo alla sola apparenza di questi gesti e consuetudini. Se provassimo invece a restare sospesi tra due livelli conoscitivi diversi, potremmo fare esperienza di una realtà che non è certo quella visibile e dare ascolto alle voci che provengono sottotraccia. Quando qualcosa fa incontrare due dimensioni incompatibili. Allora si apre una fenditura nel mondo, ed è in questa fenditura che ha inizio e si consuma Dellamorte Dellamore (1994) di Michele Soavi.

Il film rientra nell’orizzonte del genere fantastico prima ancora che horror: una sorta di rilettura Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti