C’è stato un tempo in cui Facebook era, per la maggior parte delle persone, l’unico social network. All’epoca non c’erano “follower”: sulla ancora giovane piattaforma si era optato per un termine più caldo e affettivo per designare gli utenti coi quali si era collegati: “amici”. La cosa non piaceva a tutti: persone scettiche o apertamente polemiche verso quel nuovo modo di stare connessi (ce ne erano già, anche se parlare male dei social non era di moda come ora) lamentavano che così si svalutava il concetto stesso di amicizia, dato che tra gli amici di Facebook finivano spesso e volentieri persone con cui si avevano rapporti molto labili, per non dire nulli.
Ma in fondo Facebook non faceva altro che sfruttare un termine che da sempre ha avuto un contenuto semantico vacuo. Chi è esattamente un amico? A differenza di quasi tutti gli altri rapporti interpersonali (parenti, partner, colleghi di lavoro) non c’è nulla che lo determini chiaramente. D’altronde usiamo la parola “amico” per descrivere legami molto differenti tra loro: alcuni rapporti molto affettuosi e profondi, ma anche altri superficiali e occasionali, relazioni che possono durare una vita, ma anche frequentazioni destinate a rivelarsi molto effimere.
A questa indeterminatezza dell’amicizia corrisponde la sua precarietà. Non solo a tutti capita, nel corso della vita, di perdere molti amici (“di non rimanere in contatto”, si dice eufemisticamente), ma il più delle volte, quando succede, non ce ne rendiamo nemmeno conto. Magari se ne prende coscienza a distanza di anni: all’improvviso ci accorgiamo che quella persona che trovavamo tanto simpatica, con cui avevamo passato del tempo tanto piacevole, non l’abbiamo più vista, non sappiamo praticamente più nulla di lei. Perché, in quanto rapporto privo di qualunque riconoscimento estrinseco, l’amicizia può spegnersi così, per mera disattenzione.
In questi anni si parla e si scrive molto di coppie aperte, poliamore, famiglie queer. Perché, mentre si riflette tanto su come si potrebbero reimmaginare forme tradizionali come la coppia e la famiglia, fino a ora non lo si è fatto quasi per nulla con l’amicizia?
Questa precarietà, questa mancanza di forme esteriori che la stabilizzino e la definiscano, è la debolezza dell’amicizia, ma forse anche la sua forza. Ciò che la rende infinitamente aperta e libera. Ed è anche ciò che può farla diventare, se presa come fondamento di uno stile di vita, generatrice di autonomia, via di fuga dalle forme più anguste e incasellate di esistenza sociale. È quanto sostiene Geoffroy de Lagasnerie, filosofo e sociologo francese, nel suo saggio 3. Un’aspirazione al fuori (in Italia edito da L’Orma con la traduzione di Annalisa Romani), dove appunto teorizza «uno spazio relazionale» in cui l’amicizia è «una modalità di vita»; descrive, cioè, Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti