Veronica vorrebbe dimagrire, perché le sue amiche sono più magre di lei e quando si spogliano a scuola, in palestra, lei cerca di non farsi vedere, ma le guarda, guarda i loro corpi e li vede bellissimi.
Sono così esili che le sembra di vedere un prato di fili d’erba che brillano e quando le guarda non sente più le loro voci che chiacchierano, ma il rumore del vento che passa e fruscia e si muove e i loro visi le sembrano corolle di fiori. Le loro braccia e le gambe sono gli steli di quell’erba, tutti verdi, tutti esili allo stesso modo, tutti simili.
Le guarda e, anche se non vorrebbe farlo, quando si confronta con loro si sente enorme.
Il suo corpo è il doppio, il triplo di quelli che vede.
In confronto a loro si sente un albero con un tronco enorme, inutile, lo sente pieno di nodi e di rami e quando si siede la sua pancia potrebbe essere il trono di un grande animale.
A loro si vedono le ossa.
Quando vede le sue amiche correre in cortile le vede bellissime, sono più veloci di lei e le sembra che non siano mai stanche. Sanno fare le ruote, le verticali, lei nemmeno ci prova. Di sicuro non sudano mai, loro, invece a lei basta muoversi che le spuntano subito delle schifose goccioline tonde di sudore sul naso e loro la prendono in giro.
Non le piace niente del suo corpo, nemmeno le mani, nemmeno la voce e poi le stanno spuntando i peli da tutte le parti e si vergogna. Nessuna delle sue amiche ce li ha. Allora almeno vorrebbe smettere di mangiare, le sembra che se davvero riuscisse a farlo anche il suo corpo potrebbe smettere di crescere, ma soffre, perché lei ha sempre fame. E soprattutto perché quando mangia è felice e è felice di una felicità che funziona come un magnete fortissimo che la attira verso il cibo.
Quando la invitano a un compleanno è contenta, non perché giocherà con le altre, tantomeno per i regali o perché ci sono i maschi di cui non fanno che parlare tutte, no, è felice perché spera che ci siano quei panini salati che sono anche dolci e che a casa sua nessuno li compra mai.
Nessuno compra i panini di pasticceria in casa sua, nemmeno per le feste. La sua mamma il pane lo fa nel forno, perché dice che è sano, così.
Quando invece mangia uno di quei panini morbidi chiude gli occhi e quel sapore la trasporta in volo in una dimensione lontana, ad ogni movimento della mandibola che mastica le sembra di allontanarsi sempre di più sopra le ali di quel sapore. Tutto intorno diventa azzurro come il cielo, fresco come l’aria e il formaggio salato della crema la fa correre insieme al retrogusto di zucchero, che le dà piacere, le sa di casa. Di casa sua.
Perché se pensa a casa sua vede una distesa brillante di cristalli di zucchero che si allarga da tutte le parti come una neve sulla quale scivolare.
E poi quei panini rilasciano in bocca un leggero sapore di lievito che scoppietta sulla lingua, scoppietta proprio come fanno i fuochi di artificio nel cielo e allora anche lei si sente un missile colorato che vola altissimo e non vuole nemmeno riaprire gli occhi perché ha paura che da lassù le verrebbero le vertigini.

Soltanto dopo che ha proprio ingoiato l’ultimo boccone del panino appoggia le mani al tavolo e tocca bene il pavimento con la suola delle scarpe, vuole essere sicura di essere in terra e allora apre gli occhi, e guarda se ce ne sono ancora.
Le sue amiche non sono mai a quel tavolino, nemmeno si avvicinano, sente le loro voci in lontananza e, se arrivano, di solito è perché bevono qualcosa, ma i loro piatti non sono mai vuoti, sono capaci di sbocconcellare uno di quei panini e lasciarlo lì. Poi lo butteranno via, finirà nella spazzatura, insieme alle cartacce, insieme ai bicchieri di plastica e Veronica si immagina il panino dimenticato là dentro e le piange il cuore. Loro nemmeno sanno che cos’altro c’è su quel tavolo, Veronica invece ogni volta registra ogni singolo piatto e ogni contenuto. È la prima cosa che fa a ogni festa. Sa sempre anche le quantità dei cibi nei piatti e nella sua testa fa un elenco molto preciso di quello che ha intenzione di mangiare.
Di solito le sue amiche si avvicinano a quel tavolo soltanto quando è il momento della torta e delle candeline e non è neanche detto che sia per mangiarla. A loro piace cantare e battere le mani, forse qualcuna di loro cerca di indovinare il desiderio, ma nessuna registra gli ingredienti della torta. Veronica sì, e se la torta è di panna e di crema lei sa che leccherebbe volentieri il piatto, ma non lo fa, sa che non lo deve fare, allora lo pulisce con il dito. Senza che nessuna la veda. Se invece è una crostata chiede sempre una fetta da portare a casa. Per suo fratello, dice. Anche se suo fratello i dolci non li mangia. La mangia lei, in auto, e dice a suo babbo che non l’aveva mangiata alla festa.
Dopo la scuola, durante la settimana, è a casa da sola, suo fratello esce in moto e rientra solo quando è buio e i suoi genitori sono a lavorare, allora a lei piace prepararsi la merenda.
È come se fosse un gioco, si immagina di essere al ristorante e di ordinare un piatto al cameriere. Prende dal cassetto la sua tovaglietta di plastica con Snoopy e la mette sul tavolo, poi sceglie una delle tazze colorate, preferisce quelle lisce senza manico, quelle che hanno il piedino per appoggiarle sul tavolo che poi si possono prendere con entrambe le mani per bere, anche se lei non ha intenzione di bere.
Sceglie con cura un cucchiaio, vorrebbe quello di Snoopy, perché così sarebbe uguale alla tovaglietta, ma ce n’è uno solo e finisce sempre in lavastoviglie. Riempie la tazza di latte e ci sbriciola dentro i biscotti finché vede il liquido scomparire. Le piace osservare il latte che li assorbe, li sfa, mentre con il cucchiaino mescola, amalgama, lascia che quei due sapori ne creino uno solo. Un solo sapore, un solo odore e poi anche il colore dentro la tazza diventa uno solo, un meraviglioso color miele, color sole.
Quando tutto è quasi pronto prova a sbriciolarne ancora uno, forse mezzo, deve fare attenzione che la consistenza non diventi troppo dura, perché altrimenti in quel caso deve aggiungere ancora un po’ di latte, ma poco, molto poco, per non mettere altri biscotti.

A quel punto si sente un pasticcere famoso che ha inventato il Piatto Veronica. La invitano in televisione e i giornalisti la aspettano fuori, in strada, per farle le foto.
Quando il suo piatto è pronto lo mescola ancora qualche volta e si gode la visione di quello che sta per accadere, del sapore di quei biscotti che le sta per entrare in bocca. Le basta il profumo per sentire la gioia. Si gode proprio l’odore di zucchero, di farina, di burro e il suo sorriso riempie il silenzio di casa sua.
Quando la sua mamma è in casa non può farlo, perché lei parla continuamente e se non è lei che parla è lei che ascolta la radio o che chiacchiera al telefono con qualcuno. Quando la sua mamma è in casa non c’è mai silenzio. Le sembra proprio che il silenzio sia il contrario della sua mamma. E la sua mamma non vuole neanche che lei mangi più di quattro biscotti. Quattro, dice, non di più.
Invece dentro il suo Piatto Veronica ce ne vanno anche diciassette. Diciassette di quelli grandi, e se sono piccoli anche venti. E poi per merenda la sua mamma non le farebbe mai mangiare i biscotti, quando lei ha fame la sua mamma le taglia le mele. Dice che la frutta fa bene, Veronica lo sa che fa bene, ma non le interessa. A cosa fa bene, poi? Non le dà gioia una mela, invece il Piatto Veronica la fa volare lontano e sono tutte nuvole profumatissime e piene di brillantini quelle che sente e che vede mentre mastica la sua magica mistura dolce. Le mele la annoiano.
Invece un giorno diventerà famosa per il suo piatto, aprirà una pasticceria che si chiamerà Pasticceria Veronica e lì servirà quel piatto e allora le sue compagne di classe magrissime verranno al bancone e ordineranno il Piatto Veronica per sé e per le loro figlie e lo mangeranno e allora sì che saranno felici.
Allora davvero capiranno che cosa vuol dire sentire la gioia sulla lingua e anche lei sarà felice e non penserà più di dimagrire.