Durante il mio ultimo viaggio ho incontrato una ragazza. Fa la prostituta in un vecchio locale situato al centro di Pattaya, l’Old Lotus. Io ci ero entrato perché non avevo nessun motivo per farlo e nessuno per non farlo, quindi a scanso di equivoci l’ho fatto, dicendomi che ero ancora troppo giovane per trovare il vero amore e troppo vecchio per cercarlo. Quello mi sembrava un buon compromesso, e ho incontrato la ragazza, Zeya.
Zeya mi ha detto di avere 19 anni, e io ho detto di crederle. La sua pelle olivastra e liscia profumava di qualcosa di impronunciabile, come di paradiso. Il suo sorriso era caldo, accogliente, non portava rancore o vergogna per quello che faceva, e per chi la guardava sembrava che quegli occhi scuri fossero il preludio a una nuova vita, perfetta e lontana, che altrove non si sarebbe potuta trovare.
Dopo avermi spogliato si è seduta a terra, nuda a sua volta, e mi ha confidato che io ero il suo 99esimo e quasi è scoppiata in lacrime. Le ho detto che non capivo. Mi ha risposto che io sarei stato il suo 99esimo uomo e che poi sarebbe stata libera. Io sono rimasto in silenzio. Lei ha continuato a parlare, e mentre parlava il suo corpo si è avvicinato al mio. Io ero il suo 99esimo uomo, poi sarebbe stata libera di raggiungere il Giardino delle vergini impure, come le aveva promesso sua nonna. Mentre parlava sentivo le sue mani su di me, il suo corpo profumato. Il Giardino delle vergini impure era un luogo, ai margini del mondo, dove un ruscello con un’acqua pura scorreva in circolo senza mai fermarsi e le persone che vi si abbeveravano avrebbero trovato quello che cercavano. Non esistevano rumori; uomini e animali convivevano senza sentire il bisogno di sopraffarsi a vicenda l’un l’altro. Oltre al ruscello c’era un prato enorme in cui si poteva camminare e correre e riposare. Se un fringuello si abbeverava al ruscello, gli si passava attorno per non spaventarlo. Io le ho chiesto cosa cercasse lei. Lei mi ha risposto che non lo sapeva, ma credeva che una volta giunta al Giardino lo avrebbe saputo. Le ho chiesto come si raggiungeva il Giardino, lei è rimasta in silenzio. Al Giardino poteva andarci chiunque, aveva poi continuato, ma la condizione era che il proprio cuore fosse aperto a riumanizzarsi per poter poi riaccedere al mondo reale. Per entrare veniva consegnato un formulario in cui bisognava dare la propria definizione di amore e di umanità. Lei non sapeva scrivere, ma non importava, aveva detto. Parlare di odio e male non era proibito, ma quelle parole, nel Giardino, risuonavano come un vecchio ricordo che nasce e scompare dopo averlo pronunciato.
In un’impasse di silenzio, ho emesso un piccolo grido acuto, e il mio corpo si è improvvisamente rilassato. Stavo per dire qualcosa di cui non serbo memoria, ma riaprendo gli occhi Zeya era svanita.