La sestina finalista allo Strega di quest’anno è stata a volte interpretata come un ritorno salutare alla fiction, dopo due o tre anni in cui ad affermarsi nei premi principali erano stati soprattutto i cosiddetti “romanzi-verità”: tra biografia e autobiografia, testimonianza e saggio. Mi pare che le cose stiano un po’ diversamente; se è vero che lo Strega fornisce sempre indicazioni interessanti sull’assetto di una parte della nostra editoria di narrativa, quest’anno ci dice che una certa quota di vita vera, e di autoriflessività, fa ormai stabilmente parte dell’offerta di quelli che (con una tautologia solo apparente) ci abituiamo a chiamare “romanzi letterari”. Si leggano al proposito Invernale di Dario Voltolini (biografia di un padre, con qualche sintonia con La traversata notturna di Canobbio finalista lo scorso anno), e Autobiogrammatica di Tommaso Giartosio, originale tentativo di una metascrittura del Sé. E si consideri come Chiara Valerio e Donatella Di Pietrantonio proiettino parecchio della propria figura di scrittrici nelle protagoniste dei loro romanzi, che sono certo totalmente finzionali – anzi appoggiati a elementi di genere – ma pure esibiscono una forte identità, una loro inconfondibile “presenza”.
E tuttavia l’edizione 2024 risulta rilevante per un altro motivo ancora:
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