Diventerà celebre la massima del suo amico Bob: «Se le tue fotografie non sono buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino». Ma il principio, al di là di come lo si applichi agli scatti di Robert Capa, riguardava anche Henri.
Qual è infatti la giusta distanza da cui inquadrare – che poi vuol dire, entrare in contatto, in relazione con il soggetto che si ha davanti?
Se lo sarà chiesto, il giovane Cartier-Bresson, fin dall’estate in cui compiva il suo primo viaggio italiano. Era il 1932, solo da poco aveva impugnato una Leica e ne aveva fatto subito lo strumento d’elezione. Tutto, in quella vacanza, era scoperta di un mondo nuovo. Soprattutto di immagini. Da questo punto di partenza inizia anche la mostra Henri Cartier-Bresson e l’Italia, a cura di Clément Chéroux e Walter Guadagnini, a Palazzo Roverella a Rovigo fino al 26 gennaio, che segue il fotografo nei suoi tanti e cadenzati spostamenti per la nostra penisola. Infatti dopo quel primo incontro in cui «Cartier-Bresson divenne Cartier-Bresson», come ricorda Chéroux (nel catalogo, Dario Cimorelli Editore), l’ormai consacrato maestro della fotografia immortalerà a più riprese tra gli anni ’50 e ’70 gli italiani e il loro Bel Paese, meta privilegiata del Grand Tour ancora in pieno Novecento, come testimonia l’attenzione dei media internazionali. Ed è proprio questo uno dei punti forti della mostra: esporre i numeri di “Life”, “Telebild” o “Du”, le riviste su cui uscirono molti degli scatti italiani di Cartier-Bresson, permettendo così di considerare quei viaggi – e il loro risultato pratico: le foto – anche nel loro contesto di ricezione.
Per domandarsi come Cartier-Bresson guardava l’Italia e come la guardava l’industria dell’informazione dell’epoca. Due sguardi, è bene dirlo subito, non sempre coincidenti.
Certo a Roma, tra la fine del ’51 e l’inizio del ’52, Henri si sarà trovato immerso in uno spettacolo imperdibile. Duelli a colpi di pistole giocattolo, vigili urbani che smistano impettiti il traffico circondati da pacchi regalo Alemagna e palloncini la Rinascente, apparizioni surrealiste di venditori di palloni e ambulanti su cavallini a dondolo, con in secondo piano le toghe di suore e seminaristi che così spesso hanno catturato la sua attenzione. Tutto il colore della strada nei giorni di festa della Befana.
A Roma, insomma, gli scorrevano davanti delle istantanee bell’e pronte, che Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti