Dovremmo gettarci a capofitto dentro Containers, il nuovo album del grande produttore italiano Night Skinny, per uno studio approfondito – ai bordi della sezione “Mental Health” di una grande rivista scientifica americana – sullo stato delle cose dell’immaginario maschile italiano. 

Ci troveremo così immersi – fin dal primo pezzo – tra le parole sbruffone (e per fortuna bidimensionali) incastonate nelle diciassette gemme di questo album più che fuoriclasse.

A sparare spacconate ci pensa – qui schierato al completo – l’Olimpo dei rapper eterosessuali della quarta e quinta onda dell’ormai cinquantennale storia dell’hip hop italiano. Ah no, c’è anche Madame, assolutamente divina, una mano alzata (come negli emoji antichi) che ci dice “ok, apriamoci un po’ da ’sto muro di testosterone, troppo per essere vero”. 

Il plot nella serie scritta da Containers è in ogni caso quello classico: criminalità spicciola o consistente, pezzotti di neve, ferri, macchinone, infanzie disagiate ma con differenze rilevanti le une dalle altre, boss e goat dappertutto, ragazze, ragazze che son zoccole, sesso femminile che diventa caverna (“e io son Bin Laden”, cit.), poracce in depressione perché relegate in disgrazia dalla star, mandati di vario tipo, riti brevi in tribunale, la carriera da gestire soprattutto. Coi bro coi quali si è cresciuti rimasti a marcire nelle rispettive periferie/block di tutti i capoluoghi italiani e tu ora che c’hai i soldi e non li hai mai avuti. “Voglio la firma di Berlusconi sulla mia tomba”, rima-smash ovviamente di Tony Effe, il Jannik Sinner della scena. Che nella ghenga qui ci sta bello tranquillo, ci mancherebbe. 

Gli altri? Tony Boy, Paki, Geolier, Lazza, Tedua, Fabri Fibra, Shiva, Capo Plaza, Noyz Narcos, Ernia, Bresh, Simba la Rue, Rkomi, Guè, Luchè, Jake La Furia, Kid Yugi, Artie 5ive, Emis Killa… Ci sono tutti. 

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Questi sono gli straordinari attori che rendono Containers una bomba narrativa che tranquillamente viaggia

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