«Vuoi davvero andare via? Non è ancora giorno» sussurra Giulietta, «era l’usignolo, non l’allodola a ferire il tuo orecchio pauroso: di notte canta su quel melograno laggiù». E quell’albero, nello spettacolo di Mario Martone – la più imponente produzione del Piccolo Teatro di Milano di questa stagione –, sostituendo il balcone di Verona, diventa un oggetto talmente gigante da occupare l’intera scena. Rami intricati e tronchi maestosi, realizzati e resi praticabili da Margherita Palli, storica scenografa di Luca Ronconi, costituiscono il mondo di Romeo e Giulietta, una natura rigogliosa e avvolgente, con un effetto al contempo iperrealistico e fiabesco. Ma è solo una parte, il mondo di sopra, perché a terra invece la vegetazione lascia spazio a un’atmosfera di periferia fangosa e degradata, con badili di latta, pneumatici abbandonati e la carcassa di un’automobile adibita ormai a pratiche oscene.

L’operazione di Martone non è precisamente una riattualizzazione dell’opera di Shakespeare, perché il testo, nella nuova traduzione di Chiara Lagani, è integrale e rispettoso, e gli adeguamenti linguistici legati alla contemporaneità non cambiano la sostanza. Romeo e Giulietta è come se fosse letteralmente calato nel presente e, per una magica reazione chimica, felicemente riattivato. Più che a precedenti teatrali lo spettacolo di Martone sembra guardare a episodi cinematografici, come il musical West Side Story ambientato nell’Upper West Side della New York della metà degli anni Cinquanta, con lo scontro tra due giovanissime gang, quella degli immigrati portoricani e quella dei bianchi polacchi, e ancor più il Romeo + Giulietta di William Shakespeare di Baz Luhrmann (1996), dove Verona Beach è un sobborgo di Los Angeles degli anni Novanta. 

Nel lavoro di Martone il conflitto è tutto compresso nello scontro tra adolescenti e adulti.

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