Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde ha ispirato, in modo più o meno diretto, decine di horror sul tema del doppio e della ricerca impossibile della giovinezza. Ma perché The Substance di Coralie Fargeat, che secondo alcuni sarebbe un remake non dichiarato di La morte ti fa bella (1992) di Robert Zemeckis, gode di un prestigio non concesso a un comune film di genere, va in concorso a Cannes 2024 e vince addirittura (in un palmarès quanto meno grottesco) un premio alla sceneggiatura? 

I motivi sono tanti: la mole degli investimenti. La rispettabilità e la coolness dovuta alla presenza di una star non più sulla cresta dell’onda (Demi Moore, secondo il consueto copione dell’attrice di fama che si ricicla nell’horror, come negli anni Sessanta succedeva a Bette Davis e Joan Crawford) e di un’altra in rapida ascesa (Margaret Qualley). I temi sempre attuali: l’ossessione per la perfezione fisica e la bellezza, la paura dell’invecchiamento con l’emarginazione che ne deriva. E soprattutto il fatto che la regista-sceneggiatrice sia una donna, a garanzia di uno sguardo politico. Si tratta di una petizione di principio ormai automatica: come se l’appartenenza al sesso femminile implicasse obbligatoriamente la correttezza. E poco importa che la storia del cinema sia piena di registe maschiliste e misogine, come Lina Wertmüller (per altro celebrata, da qualche tempo, come uno dei classici del cinema italiano). E un certo accanimento sul corpo della donna da parte di Coralie Fargeat – vedi le mutazioni teratologiche cui sottopone l’iconografia del seno, e che risparmio ai lettori – tradisce un odio assai wertmülleriano, su cui non mi addentro psicoanaliticamente.

Fargeat denuncerebbe il famigerato male gaze per il fatto di rappresentare in modo enfatico e iperrealista quel tipo di bellezza (corpi slanciati dalle forme pronunciate e tornite) che si vede oggi nei personaggi creati dalla AI

The Substance è un horror strano,

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