«Vi è un solo problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia». L’incipit – adamantino, memorabile – del Mito di Sisifo di Albert Camus mi è subito tornato alla mente e ha risuonato come un basso continuo durante la lettura di Suicidi imperfetti (Editoriale Scientifica, 2024) di Fabrizio Coscia. Attraverso una prosa piana e fraterna, apparentemente semplice ma densa di echi della tradizione (Leopardi, il Baudelaire di Maesta et errabunda, tra gli altri) e percorsa da una rattenuta poesia, in diciannove brevi ritratti biografici, diciannove medaglioni, l’autore racconta la vita (e la morte) di altrettanti artisti, da David Foster Wallace a Sarah Kane, da Cesare Pavese a Yasunari Kabawata, passando, tra gli altri, per Philipp Mainländer, Rachel Bespaloff, Marylin Monroe, Hart Crane.
Non, come è immediatamente precisato nella nota introduttiva, un’antologia di famosi suicidi, ma exercise d’admiration, o addirittura «il racconto autobiografico di un’ossessione, narrato attraverso le vite degli altri»; una carrellata di ritratti personalissima e idiosincratica che attraversa le epoche e i generi – romanzo, poesia e teatro, musica colta e pop, filosofia, fotografia – con passione, competenza e naturalezza. E – la cosa non è per nulla scontata – con levità: lo sguardo di Coscia non è mai indiscreto o morboso, ma rimane fisso sulla bellezza che, dopotutto, resta. E La bellezza che resta è anche il titolo Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti