Nulla è più urgente in questo momento – almeno se si pensa la cultura come politica praticata – di un’immersione dentro Io sono confine / I am border (PRIMO PIANO – Palazzo Grillo, Genova, fino all’8 Aprile), una “mostra” sulle migrazioni viste attraverso gli occhi di artisti nel corso degli ultimi due decenni. Il percorso è nitido, in apparenza. Ci si muove nello spazio del palazzo – dalle geometrie non euclidee, letteralmente disgraziate – incontrando i vari lavori distribuiti in modo rarefatto. È la pazienza dell’attesa, ore giorni mesi, per partire e per sperare di arrivare vivi. Poche “cose”, chiare. Una più devastante dell’altra. 

La mostra parte dalla ricerca dottorale in corso al DISFOR dell’artista Antonino Milotta ed è a cura di Pierre Dupont (alias Giulia De Giorgi, Michela Murialdo, Roberta Perego) con Anna Daneri. Il titolo parte dal saggio di Shahram Khosravi (Elèuthera, 2019), che insegna Antropologia sociale all’Università di Stoccolma, unendo la ricerca etnografica al racconto della migrazione vissuta in prima persona: l’esperienza tangibile dell’“essere trasformati in confine”. Evitando le trappole troppo facili dell’identificazione impossibile col migrante, del pietismo o della rivendicazione indignata, rivelatesi inefficaci, diventiamo qui linea idiota tracciata col righello su una carta geografica che fa letteralmente acqua da tutte le parti, sguardo reciproco e mai avvenuto prima, paesaggio sconcertato. Diventiamo noi il bordo, appunto.

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