La parabola esistenziale e artistica di Jean-Pierre Duprey risulta, nella sua apparente marginalità, quanto mai sintomatica di una stagione del Novecento che affonda le sue radici in quel particolare contesto storico contrassegnato sia dalla scoperta dell’inconscio freudiano e dalle relative acquisizioni in ambito letterario sia da una sorta di ribellione radicale che diviene l’emblema stesso dell’engagement di matrice surrealista. Nato a Rouen il 1° gennaio 1930, Duprey ebbe un’infanzia difficile, caratterizzata da frequenti febbri e lunghi periodi di anoressia, a causa dei quali poté intraprendere soltanto studi irregolari. Nel 1946 conosce Jacques Brenner che lo inizia alle opere di Lautréamont, Jarry e Artaud. Due anni dopo incontra Jacqueline Sénard, di cui si innamora e che diventerà sua moglie. Per frequentarla abbandona Rouen e si trasferisce a Parigi, abitando uno squallido albergo nel quartiere di Batignolles. Termina la raccolta composita Derrière son doubleche invia ad André Breton, il quale rimane molto impressionato dalla lettura del manoscritto, tanto da scrivergli: «Voi siete davvero un grande poeta». Nel 1950 François Di Dio la pubblica quale secondo titolo delle edizioni Le Soleil noir, dopo la Justine di Sade prefata da Bataille e prima di un florilegio di scritti rimbaldiano, con una lettera di Breton a fungere da introduzione. Si tratta dell’unico libro pubblicato in vita da Duprey, a prescindere dagli scritti apparsi su rivista. Nello stesso anno Breton

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