Cosa spinge le persone a ballare la bachata cubana, portoricana, in modalità classica o sensual, dalle ventitré fino alle cinque di mattina, non stop, magari bevendo due bottiglie d’acqua, una cocacolasenzaghiacciochefafreddo? mi chiedevo. Non capisco, non capisco proprio, sbuffavo più o meno verso l’alba.
La postazione da cui questa domanda si faceva sempre più frequente, fino a diventare pressante, è l’ufficio più caotico e rumoroso che conosco: il bancone di un bar, dove – per mesi – ho preparato cocktail zuccherosi, birre, analcolici, mojito, in una discoteca dell’hinterland padovano. Il motivo per cui ho deciso di fare il barista (lavoro in cui mi sono specializzato durante l’università), in una discoteca (luogo che ho sempre evitato), dove si ballava per lo più musica latino-americana (in cima alla lista delle cose che rifuggo da quando ho ricordi) è più che mai semplice: soldi. Banalmente soldi.
Ed eccomi qui: munito di sorriso d’ordinanza, il dialetto sempre in canna, RedBull per stare sveglio e qualche trucco da barman imparato negli anni, che pare sfugga alla maggior parte dei “colleghi”. Il primo: non sei lì per educare la gente, né per correggere chi ti chiede longaislans o peggio sprissàperol a mezzanotte e mezza. Il secondo: un po’ di attenzione verso chi sta dall’altra parte, guardare sempre le persone in fila col sorriso e un “arrivo subito”, fa la differenza tra chi sa stare al banco e chi dovrebbe essere solo dall’altra parte a bere. Per gli altri trucchi dovrei imbastire un corso online ma non riesco a monetizzare l’ovvio, purtroppo. Notte dopo notte, weekend dopo weekend, le canzoni impregnate di amori sofferti, triangoli amorosi non risolti nemmeno nel ritornello, di spiagge dove siamo solo io e te, e serate indimenticabili nel tramonto di una Avana immaginaria, hanno scalfito le mie barriere, la mia autentica e fiera discriminazione contro questo genere, diventato ciò che Oliver Sacks chiama, in Musicofilia, “tarlo musicale”. Sono stato, per tutto l’inverno e la primavera, uno spettatore scettico ma ipnotizzato da una religione chiamata “bachata” che ha gente come Romeo Santos tra i suoi sacerdoti più carismatici.
I maschi (eterocisbianchineriolatini) sono lì per un motivo, lo stesso che, secondo il celebre proverbio, avrebbe più forza trainante di un carro di buoi
Premettendo che tutta la retorica sul patriarcato, il gender fluid, la narrazione proto e post-femminista nelle discoteche di questo tipo viene fermata all’ingresso dai buttafuori, così come viene fermato chi vuole entrare palesemente per fare rissa, il successo della bachata ha ragioni diverse, spesso convergenti, ma solo in alcuni punti, per il genere maschile e femminile. La convergenza,
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