La prima cosa che mi hanno detto è: «Ma non lo sai che è inquinatissima? Ricordati la crema solare!» Ma proteggerà contro l’inquinamento?
A seguire: «Macché Buddha di giada, è la città-labirinto!»
In effetti, una megalopoli da circa 25 milioni di abitanti.
E infine, da chi c’è già stato: «Vedrai che contrasto con la città vecchia, al di là dal fiume!»
Credo si riferissero allo Huangpu che, mi insegna Wikipedia, divide i grattacieli avveniristici dall’abitato antico.
Ho l’occasione improvvisa e unica di raggiungere una città a 9.000 km di distanza di cui, lo ammetto, non so molto. Shanghai, al momento, mi fluttua davanti come un’idea confusa: una visione, circoscritta da quelle affermazioni apodittiche quanto vaghe, un’attesa e un mistero.
Appresa la notizia del viaggio, una vecchia deformazione mi ha spinto subito a procurarmi – prima ancora del necessario (tipo articoli di stampa internazionale, podcast e guide turistiche, tutte immediate e più utili fonti di informazioni) – un po’ di superfluo: qualche libro di letteratura cinese, naturalmente scelto a caso, data la situazione. Ed è così che, prima ancora di partire, è iniziato tutto.
Avevo letto solo poche pagine di La città del fumo di Can Xue, che dà il titolo alla sua raccolta di racconti appena pubblicata da Utopia (trad. it. e cura di Maria Rita Masci), quando ho ricevuto il primo indizio:
La nostra città è chiamata la città del fumo, io ne sono un abitante e ho sessantotto anni. Il fumo non è arrivato da un giorno all’altro, ci ha messo molto tempo a trasformare la città in quello che è oggi.

Un personaggio che parla dalla caligine, e non è il solo. Zia Wang, la traghettatrice, considera «la città del fumo come un grande fiume» e Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti