Quando si è estinta la domanda su quanto c’è di autobiografico rivolta a un autore di narrativa? Nessuno ricorda con precisione. Gli storici finiranno per accordarsi su una data convenzionale, come per la caduta dell’impero romano. Quanto alla causa dell’estinzione, possiamo proporre un’ipotesi: era diventata superflua.

Quanto c’è di autobiografico in questo tuo romanzo? L’intervistatore si godeva l’imbarazzo del malcapitato autore, che qualche volta azzardava persino una percentuale tendendo, però, sempre al ribasso.

Il fatto è che a quei tempi scrittori e personaggi non andavano d’accordo. Gli autori tenevano personaggi e storie a distanza con tutti i mezzi: terze persone, narratori inaffidabili o onniscienti e impiccioni, manoscritti ritrovati, diari, lettere. Volevano che ci appassionassimo alle storie che scrivevano, ma nella maggioranza dei casi non volevano che le credessimo storie loro. 

Da qualche tempo – anche in questo caso occorrerebbe una data convenzionale, ma diciamo un paio di decenni – tutto questo è cambiato. Narrazioni fattuali, autobiografie, testimonianze, memorie, sono sempre esistite ma il novel – il romanzo borghese, realistico per DNA ma opera dichiaratamente di finzione – per secoli era riuscito a garantirsi un primato di prestigio. Ci si laureava veri scrittori nonostante l’autobiografia, non in virtù di quella, altrimenti si era ombelicali ed erano guai.

Poi è arrivata la fiumana non finzionale, ibrida, memoriale e fattuale. Una moltitudine, come in un quadro di Pellizza da Volpedo, e tutti facendosi avanti chiedevano a gran voce una sola cosa: di essere creduti.

Facciamo un passo indietro.

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