Difficile crederci: The Shards, quasi seicento pagine, pubblicato tre mesi fa in inglese e prontamente tradotto in tedesco e in francese (da noi grosso modo ignorato, in mancanza dell’edizione italiana), prova che il suo autore Bret Easton Ellis (1964) è diventato vecchio. La stanchezza di un uomo insofferente si respira in tutto il libro, che si apre con l’accostamento fra il genere-romanzo e l’involontarietà di un sogno. Stando a varie interviste, il libro è stato concepito durante le chiusure pandemiche del 2020, quando Ellis, vagando come un fantasma – o più prosaicamente come un boomer – per le bacheche Facebook dei suoi ex compagni di scuola superiore (il Buckley College, frequentato da senior nel 1981), aveva iniziato a prendere appunti guardando l’annuario scolastico. Il tono malinconico del ripiego senza compromessi di Ellis sul biennio 1980-81 non testimonia però di uno scadimento della sua scrittura.

La qualità della pagina di The Shards è alta, il ritmo si ripete serrato come quello delle canzoni pop post-punk che echeggiano in quasi tutte le pagine. Ellis, che ha suggerito di leggere il libro con precise playlist di sottofondo, non perderà mai il talento di generare inquietudine a partire da piccole variazioni di lessico e sintassi. Ma addentrandoci nei trenta capitoli del libro, chiusi ad anello da un’introduzione e una conclusione senza titolo gettate in un presente d’insoddisfazione senile, si sviluppa l’impressione di una pagina stesa a memoria, che alterna con mestiere le scene di sesso, l’ultraviolenza su uomini e animali nella Los Angeles straricca dell’imprenditoria e dello spettacolo, il sottofondo di una gioventù glam e atona. L’ambientazione è così familiare da lambire la noia

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