L’uomo visto dall’alto si ridimensiona. L’ambiente sembra fagocitarlo. Qualunque azione stia compiendo diventa immediatamente una proiezione astratta, senza logica. Questa semplice intuizione è stata un dono per la fotografia, per alcuni autori in particolare.
A Torino, nella Project Room di Camera, è stata inaugurata la mostra Riccardo Moncalvo. Fotografie 1932-1990, curata da Barbara Bergaglio, in onore di uno dei fotografi più prolifici e attivi del suo tempo in Piemonte e in Italia. Rilevato lo studio paterno a soli vent’anni, ne fece crescere l’attività fino agli anni Ottanta, affiancando sempre il lavoro su commissione (fotografia per l’automotive e l’industria, ritrattistica e reportage) a quello di ricerca personale, in un connubio pressoché inscindibile.
Riccardo Moncalvo (1915-2008) è un fotografo con cui si familiarizza subito, riconoscendone in pochi istanti l’efficacia dello stile e le sue linee guida: un dinamismo che porta spesso gli elementi agli angoli estremi dell’immagine, a confondere le proporzioni, a inclinare il piano dello sguardo per vedere la deformazione che la vita può assumere.

Paesaggio pedonale, 1937 Archivio Riccardo Moncalvo
Tutto il suo lavoro rappresenta un poderoso aggancio alle trasformazioni interne che la fotografia stava subendo nei primi decenni della sua attività, intorno agli anni Trenta e Quaranta. La Nuova Visione era l’approccio Snaporaz è una rivista indipendente che retribuisce i suoi collaboratori. Per esistere ha bisogno del tuo contributo. Accedi per visualizzare l'articolo o sottoscrivi un piano Snaporaz.Questo contenuto è visibile ai soli iscritti