Quanto ci piace, non è vero?, lamentarci dei premi letterari. Ricordare che la vera letteratura è altrove, che decidono tutto le case editrici o gli amici degli amici, che i vincitori o i finalisti fanno tutti schifo. Se è così, l’edizione del Campiello di quest’anno – che celebra il 21 settembre la sua serata conclusiva, con la scelta del libro vincitore – sembra fatta apposta per confutare i nostri pregiudizi. Chi nel giugno scorso ha visto all’opera la giuria dei letterati mentre sceglieva la cinquina finalista ha infatti potuto verificare – lo scrutinio avviene in diretta, attraverso voti che alimentano un complesso sistema di quorum – l’individuazione immediata e pressoché unanime di quello che a molti lettori era parso il romanzo più sorprendente e forte dell’anno – Il fuoco che ti porti dentro di Antonio Franchini. E a seguire, poco dopo, la scelta relativamente rapida di altri due titoli di indubbia qualità letteraria come Locus desperatus di Michele Mari e La casa del mago di Emanuele Trevi. Non è detto che Franchini, Trevi e Mari abbiano pubblicato quest’anno i loro libri migliori in assoluto; ma certamente continuano un percorso che li porta tutti e tre a confermarsi, da venticinque anni a questa parte, tra i nostri scrittori più abili e in forma, più dotati di progetto, rigore e stile. E mentre Trevi ha avuto modo, nel frattempo, di perdere uno Strega per due voti, e poi di vincerne un altro, Franchini e Mari sono fin qui rimasti distanti, incredibilmente, dai premi che contano: un po’ per deontologia e salutare sprezzatura – Franchini, che in veste di funzionario editoriale conosce benissimo lo Strega, e preferisce tenersene lontano – un po’ per indole, personale e stilistica – Mari, che per complessità di psicologia e scrittura non sa né vuole compiacere giurie popolari, né “amici” di sorta.

Antonio Franchini
Michele Mari

Più macchinosa la scelta degli ultimi due finalisti. Come quinto

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