La protagonista di Do Not Expect Too Much From the End of World di Radu Jude, Angela (Ilinca Manolache), è una schiava in un paese alla periferia dell’Europa contemporanea, la Romania («Peggio di noi sono messi solo gli albanesi» dice). Lavora anche diciotto ore al giorno per una multinazionale che realizza video aziendali; e quando non fa l’autista, va in giro a cercare vittime di incidenti sul lavoro che possano essere adatti a scopi di propaganda. Ha le braccia coperte di tatuaggi, i capelli tinti e indossa sempre un improbabile abitino di strass. La sua valvola di sfogo è realizzare video per i social in cui, grazie a un filtro digitale, assume le sembianze grottesche di un uomo volgarissimo, Bobiță: un misogino fallocrate fan di Putin che raccoglie decine di migliaia di like parlando di sesso e facendo le battute più grevi e squallide. In uno di questi video Angela/Bobiță cita la teoria del “corpo duale del Re” per cui è noto lo storico Ernst Kantorowicz, per fare una battuta sul sovrano che ha “due cazzi”. Dal che si deduce che Angela è andata all’università, ma avere studiato non le è servito a molto, almeno dal punto di vista pratico. È qui che finisce la cultura nell’Europa di oggi: degradata nella pattumiera dei social.

Nu aștepta prea mult de la sfârșitul lumii esce anche da noi, con il titolo inglese internazionale, dopo avere vinto il premio speciale della giuria al festival di Locarno dell’anno scorso. Da quasi due decenni Jude è un habitué dei festival maggiori con film dove parla di morte, media e modernizzazione coatta (nei due sensi del termine) di un Paese che non ha ancora smaltito decenni di dittatura. Nel 2021 aveva vinto l’Orso d’oro a Berlino con Sesso sfortunato o follie porno, che prendeva di mira

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