Il più delle volte, pubblicare un romanzo ambientato in Italia durante la seconda guerra mondiale ha oggi lo stesso significato che aveva alla corte degli Este inanellare sonetti petrarcheschi a una dama sconosciuta: un modo facile per inserirsi in società, da una parte; dall’altra, una galanteria che non si nega a nessuno. Ci sono infatti periodi della nostra storia che sembrano richiamare in modo più naturale degli altri il nostro bisogno di un facile esotismo: epoche stereotipicamente “eroiche”, in cui i buoni erano buoni in modo molto più intuitivo e i cattivi sembravano compiere il Male guidati dalle leggi dello storytelling (controfigure di Voldemort, i loro nomi sono allora ridotti alle semplici iniziali perché ominosamente impronunciabili).

Se poi il protagonista del romanzo è adolescente, sarà ancora più ovvio mettersi sulla strada di un archetipo consolidato come il Pin del Sentiero dei nidi di ragno: quella della storia di formazione sarà una scelta d’obbligo; lasceremo capire fin dall’inizio che il nostro personaggio nutre, sì, convinzioni discutibili, ma ha un animo innocente (segnalato talvolta dal nome dialettale, con cui tutti bonariamente lo chiamano) e un forte senso di giustizia, che gli farà riconoscere il senso dritto della Storia. Un romanzo del genere, va detto, si scrive anche con poco studio, ed è anzi un buon viatico alla carriera letteraria, specie per gli scrittori che non si sentano poi così sicuri di avere un gran talento.

Non stupisce dunque che uno scrittore dalle buone doti tecniche come il quasi esordiente Alberto Grillo abbia scelto una strada alternativa, scrivendo con questo suo Un’estate da Dick Fulmine, da poco edito da Laurana, un romanzo ambiguo e a suo modo insolito.

Il giovane protagonista della storia, Francesco, non è né sarà un partigiano, non ha le idee chiare e, quando finalmente gli parrà di poter prendere una scelta ispirata, morale, le conseguenze saranno catastrofiche

Ai suddetti stereotipi il testo aderisce solo in parte,

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