L’infanzia di Hans, primo capitolo romanzesco del ciclo narrativo Lo splendore di Pier Paolo di Mino, uscito qualche mese fa per Laurana, getta in un certo imbarazzo chi voglia applicarvi un discorso critico, nemmeno ci si trovasse a fare il planisfero di un pianeta non ancora del tutto esplorato. Altrettanto manchevole risulta una sinossi esauriente di questo strano mandala narrativo di oltre seicento pagine, che Di Mino ambienta nell’Europa occidentale al tempo di quella che in filosofia si indica per convenzione come la «cultura della crisi», fra gli anni Sessanta dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale. Ci troviamo davanti a una tranche d’histoire affollata di personaggi diversi per essenza, convinzioni, età, origine, dèmoni da combattere; un libro che viene attraversato da digressioni filosofiche, gnostiche e millenaristiche, oltre che punteggiato di rimandi a testi sacri; che, infine, fa lottare con furia al suo interno una manciata di prospettive di totalità, confessioni spirituali e vocazioni all’assoluto, fino a farle confondere tutte in una visione ultima che non ha nome né confini. Per capirne di più conviene allora cominciare, insieme, dall’inizio e dalla fine.

Il primo episodio (su sette, a quanto pare, in parte già stesi) si configura come un lentissimo esordio, una preparazione alla nascita nella Germania del 1911 di un inconsapevole predestinato (Hans Doré), il quale potenzialmente ha in sé, preannuncia il narratore, lo splendore sovrumano che permetterà di chiudere il cerchio di una civiltà ormai allo stremo. Ma per arrivare a Hans, al di là di poche frasi introduttive e indirette nei primi capitoli, bisogna prima farsi trascinare da altre cinque storie, che al modo dei fiumi confluiscono verso il presente di Hans e, nell’ultimo capitolo, approdano alla sua lotta aperta con un enigmatico, angelico sosia. Le cinque storie, scandite da intitolazioni concettuali astratte (Il Patto, Il Bene, la Giustizia, la Fede, il Sacro) che da lontano rimandano alla struttura a pannelli della trilogia modernista I sonnambuli di Hermann Broch, sono quelle di Rosa (la giovanissima, accidentale madre di Hans), di Joseph Idel (lo zio adottivo socialista), di Clea (la sua levatrice ), di Hermine (la maestra di Clea, sciamana selvatica), di Gustav Idel (il personaggio a cui è riservato più spazio, sfuggente e abissale, che nel suo dividersi fra le opposte tentazioni della purezza di Dio e dell’impero sensuale del potere percorre Francia e Germania lasciando una scia di morti dietro di sé). Pur nella diversità delle loro parabole e dei principii morali che vi sottostanno, sono cinque storie di iniziazioni, apparentemente tutte uguali e legate da un misterioso rapporto di simmetria che sembra svuotarle man mano che ci addentriamo in esse.

Hermann Broch © Imago / Getty Images

La realtà del romanzo viene presentata

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